Tutelare il lavoro nella flessibilità o tutelare il lavoro dalla flessibilità?

A volte si rischia di fare Crociate per abbattere Totem che se fossero rimasti dov’erano non avrebbero avuto alcun effetto; positivo o negativo. Si prenda ad esempio: il Jobs act rivendicato dalle iene ridens, accolto con toni trionfalistici dalle associazioni datoriali, utilizzato con molta meno enfasi dalle aziende, oggi resta prevalente il ricorso alle assunzioni a tempo determinato l’art.18 il mondo delle associazioni imprenditoriali lo ha sempre considerato un ostacolo da rimuovere, anche se pochi imprenditori erano disposti ad avviare su questo tema una battaglia di principio, le procedure di Crisi e/o ristrutturazioni avevano già trasformato l’art.18 in una tigre di carta.
I giuslavoristi l’art.18 lo avevano visto come ostacolo enorme alle regole liberticide già esistenti, vogliosi di legiferare per abolire piuttosto che inquadrare, studiare e prestare attenzione ai cambiamenti socio economici derivanti dalla globalizzazione.Rimuovere l’art.18 è stata una battaglia di retroguardia, solo un ignorante del mondo del lavoro può pensare che un imprenditore rinuncia a crescere o a espandersi per l’art.18.
La prevalenza del contratto a tempo determinato, sia per i difensori che per i detrattori del Iobs Act è strutturale al di là di coloro che sostengono che debba costare di più, è il lavoro che dovrebbe essere a tempo indeterminato non il posto di lavoro.
Le risorse andrebbero impiegate per costruire le condizioni più adatte a questo cambiamento, investendo pesantemente su alternanza apprendistato, formazione e politiche attive e non solo sugli sgravi contributivi che lasciano il tempo che trovano ed esauriscono in breve tempo il loro effetto positivo. Non c’è ragione che possa spingere le imprese ad assumere prevalentemente a tempo indeterminato se non in funzione del proprio modello di business.
Occorrerebbe osservare le relazioni e le problematiche delle Piccole imprese e la gestione delle commesse in rapporto al;
· ruolo delle imprese nazionali nelle filiere.
· La centralità della questione fiscale e i problemi della legalità
· La burocrazia con i quali si scontrano costi e investimenti necessari per competere.
· Ripensare il fattore lavoro.​
Se l’impostazione continua ad essere quella del novecento con al centro la cultura della grande impresa manifatturiera, bisognerà misurarsi con: i costi del lavoro, la produttività e la flessibilità e il problema continuerà ad essere; smantellare o difendere le tutele e le conquiste del passato.Se al contrario capiremo che la dimensione del nostro tessuto produttivo industriale o terziario si orienta da tutt’altra parte non correremo il rischio di peggiorare ulteriormente la situazione penalizzando il lavoro regolarmente creato.
Il Jobs act ha fallito perché avrebbe dovuto, senza riuscirci, mettere insieme il passato con il futuro con il risultato che i sostenitori del jobs act si sono trovati contro i sostenitori del passato senza avere come alleati i difensori del cambiamento, per questo c’è analisi schizzofrenica dei numeri con il risultato che;
· Il tempo determinato vale poco,
· Il lavoro nero non compare nelle statistiche,
· L’apprendistato non funziona
· I vaucer sono sbagliati
· I giovani non trovano lavoro, i più fortunati, vagano tra stage, apprendistato e lavoro nero. Così anche i provvedimenti giusti risultano sbagliati.
Mettere al centro il lavoro sia nella qualità che nella quantità significa affrontare il problema vero dell’oggi e del domani per questo occorre ascoltare a 360 gradi il mondo del lavoro le sue priorità, le sue aspettative e i suoi problemi.
Alfredo Magnifico

 

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