Sull’occupazione è più propaganda che realtà

Il presidente del Consiglio ha evitato la stampa ,preferendo la pubblicazione di slide sul sito del governo, come diceva mio nonno se la canta e se la sona da sola,si è intestato il record di occupati dimenticandosi di contestualizzare i numeri.

Il desiderio di ogni governo è creare posti di lavoro per decreto, per cui basterebbe una legge o la cancellare quella precedente, per convincere le imprese ad assumere. Negli ultimi anni lo hanno fatto tutti, ma purtroppo non è così.

Il trionfalismo sbandierato ai quattro venti dei due anni dall’insediamento del governo sul fronte dell’occupazione lascia il tempo che trova, per evitare qualche domanda trabocchetto, ha cancellato la conferenza stampa ed ha pubblicato delle slide sul sito del governo.

Un’autocelebrazione di se stessa appropriandosi di risultati che non hanno niente a che fare con questo governo, ma sono legati a tendenze economiche internazionali e di più lungo periodo, come il record di occupati e l’ingresso delle donne al mercato del lavoro.

Nelle due prime slide, dal titolo “Una Repubblica fondata sul lavoro”, si riporta che ad agosto 2024 è stato raggiunto il record di; occupati, più di 24 milioni e del tasso di occupazione, 62,3 per cento, sarebbe vero, ma:

·        Il tasso di occupazione italiano resta il più basso d’Europa.

·        Il mercato del lavoro non funziona per automatismi e risponde a logiche proprie,  infatti, una delle variabili è il buon andamento dell’economia, legato più alla ripresa post-pandemia che ad azioni governative.

Dal 2019 a oggi si contano 1,3 milioni di occupati in più, aumento slegato dalla crescita, tant’è che  mentre il Pil rallentava l’Italia macinava nuovi record di occupati.

Gli ultimi dati Istat di agosto 2024 dicono che in un anno si contano 494 mila occupati in più e 355mila disoccupati in meno, buona notizia se non si registrassero 106 mila inattivi in più, e che in un anno, tra gli under 35, gli inattivi in più sono 166 mila, di cui 74 mila tra i 25 e i 34 anni, a fronte di soli 59 mila occupati in più.

Sul fronte femminile, le slide di Meloni dicono che l’Italia è andata «oltre il tetto di cristallo», il 53,5% di donne che lavorano (dieci milioni) il massimo da quando esistono le serie storiche, ma la più bassa d’Europa, con il tasso di inattività femminile cresciuto al 42,3%, sui 106 mila inattivi in più in un anno, 92 mila sono donne. Tra aprile e agosto 2024 abbiamo avuto 120mila disoccupate in meno e 117mila inattive in più, a fronte di sole 50 mila occupate in più.

Le slide parlano di 800 mila contratti stabili in più, intestandosi la riduzione del precariato, ma tra 2023 e 2024, l’Istat ha contato 516 mila contratti a tempo indeterminato in più,

tendenza cominciata prima dell’insediamento del governo Meloni, che  tra le prime cose fatte aveva eliminato i paletti sui contratti a termine del “decreto dignità”, mentre il mercato del lavoro si spostava verso il posto fisso.

La crescita dei contratti a tempo indeterminato non è dovuto né agli esoneri contributivi, né alla famosa super deduzione al 120%, né allo slogan «più assumi meno paghi», ma agli effetti della riforma Fornero, e alla scarsità di persone in età da lavoro, che avrebbe portato le imprese, a utilizzare i contratti a tempo indeterminato per attrarre e trattenere i lavoratori trasformando i contratti a termine in stabili., infatti dal periodo pre-Covid, le ore lavorate sono cresciute di circa il 2,2%.

Sorpresa-negativa- a fronte del calo di contratti a termine (meno 144mila in un anno), si registra un aumento del lavoro autonomo (più 123 mila), il mancato rinnovo dei contratti a termine  nasconde una nuova impennata di finte partite Iva.

Tra i successi Meloni vanta l’abolizione del reddito di cittadinanza,ma l’aumento d’occupazione non è  dovuto alla rivoluzione delle politiche attive ma i dati Inps dicono che circa trentamila hanno trovato lavoro tramite la nuova piattaforma Siisl, meno della metà della platea prevista.

L’aumento degli inattivi, potrebbe esser dovuto a quelli che hanno perso il reddito di cittadinanza e, tra inghippi burocratici e piattaforme che non funzionano, sono scoraggiati nella ricerca di un nuovo lavoro. Vi  è poi l’andamento disastroso del programma “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” del Pnrr, che rischia di sprecare oltre 5 miliardi di risorse europee.

Sui successi della sicurezza sul lavoro, vantati, con l’assunzione di 1.600 ispettori del lavoro e la patente a punti nell’edilizia, i concorsi hanno portato all’ingresso di circa 800 ispettori del lavoro e circa 600 ispettori tecnici frutto del governo Draghi.

L’Ispettorato Nazionale del lavoro nell’ultimo concorso ha coperto la metà dei posti disponibili, l’unificazione di tutti i tipi di ispezioni (salute, sicurezza ed evasione contributiva) e delle banche dati non è mai stato risolto.

Nel Pnrr c’è un programma che punta ad aumentare le ispezioni e ridurre il lavoro sommerso, ma è fermo.

Le slide vantano un aumento di occupazione al Sud cresciuta più della media nazionale,  «locomotiva d’Italia», Istat conferma una crescita del tasso di occupazione al Sud più alto rispetto al resto del Paese, ma gli squilibri territoriali rimangono forti: il tasso di occupazione, nel secondo trimestre del 2024, nel Mezzogiorno era del 49,3%, mentre al Centro e Nord Italia era del 67,2 e del 69,8%, inoltre, la decontribuzione per il Sud risale alla legge di bilancio del 2021, mentre il governo Meloni ha ottenuto da Bruxelles una proroga di soli sei mesi fino a fine anno, e solo per chi era già stato assunto.

Nota critica; il lavoro cresce ma siamo più poveri, il paradosso è che nel 2023 la povertà è diminuita tra i disoccupati ed è cresciuta tra gli occupati.

Oltre all’incidenza dell’inflazione sui salari, mediamente bassi, l’aumento dei posti di lavoro si è concentrato tra i settori a bassa produttività, in attività poco qualificate e con stipendi bassi, come servizi e costruzioni.

I bassi salari spingono le aziende italiane, ad aumentare le assunzioni, perché è più economico del fare investimenti in macchinari, tecnologie, ricerca e sviluppo.

Banca d’Italia sostiene che dal 2022 c’è stata «una ricomposizione della produzione a favore delle imprese a maggiore intensità di lavoro, che ha sostenuto l’espansione delle ore lavorate ma ha contemporaneamente ridotto la produttività media».

Alfredo Magnifico

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