Studiare di più serve a trovare più facilmente lavoro e lavorare meglio

Il mondo del lavoro ci dice che sono troppi i posti disponibili che però non trovano nessuno con le competenze necessarie a coprirli.

La formazione e l’adeguamento delle competenze è un impegno che non termina con la fine del percorso scolastico ma deve accompagnarci durante tutta la vita lavorativa.

Il diploma (livello secondario di formazione) è utile per affrontare il mercato del lavoro attuale, nella popolazione in età lavorativa (25-64 anni) il 62,7% ha almeno un titolo secondario superiore, in Ue a 27 la percentuale è del 79,3%, un titolo terziario è appannaggio del 20% della popolazione in età lavorativa contro il 33,4% europeo.

Fra 30 e 34 anni il livello terziario di formazione è al 26,8% , in Europa si al 41,5%, solo recentemente con la nascita degli ITS, si sono avviati percorsi di formazione professionale di livello terziario, da noi la formazione terziaria è quasi esclusivamente lasciata ai percorsi universitari.

Almalaurea nel rapporto università e mercato del lavoro riporta  che negli ultimi anni il 55,2% dei laureati di primo livello, il 33,5%, laureati magistrali biennali e per l’11,3%, laureati magistrali a ciclo unico nel 2022 scontano gli effetti della pandemia con una contrazione delle esperienze curriculari all’estero e una minore fruizione dei servizi collettivi di supporto allo studio presso le sedi universitarie.

La provenienza sociale dei laureati è sbilanciata verso i ceti più agiati, il 22,3% proviene da famiglie con genitori che svolgono professioni esecutive.

Il contesto culturale e sociale della famiglia influenza anche la scelta del corso di laurea in modo sensibile per i corsi magistrali a ciclo unico, il 45% ha un genitore laureato, mentre la percentuale scende al 28,9% per i laureati di primo livello, vi è una spiccata tendenza, per alcune professioni, a perdurare fra generazioni.

La provenienza scolastica dei laureati è liceale,dai tecnici e formazione professionale proviene circa un quarto dei laureati, diminuiscono i fuoricorso e migliorano i voti medi di laurea, il 62,5%  finisce il corso di laurea nei tempi previsti contro il 40,7% del 2012, con un voto medio di 104, migliora di 2 punti il dato di 10 anni fa, l’8,2% dei laureati ha avuto esperienze all’estero, 3 punti meno del periodo pre-Covid, l’83% ha sostenuto almeno un esame convalidato, il tirocinio curricolare, ha coinvolto il 59,4% dei laureati, la quota raggiunge il 78% fra i laureati con ciclo 3+2.

Chi ha svolto un tirocinio curriculare o ha avuto un’esperienza all’estero acquisisce una probabilità maggiore di trovare occupazione entro un anno dalla laurea: il 4,3% di probabilità in più se ha svolto un tirocinio e il 12,3% in più se ha esperienza estera.

Negli ultimi anni la percentuale di studenti che lavorano durante il corso degli studi è diminuita, non solo per l’effetto Covid, sono diminuiti in particolare i lavoratori-studenti probabilmente per un miglioramento delle condizioni di accesso, ma anche per una contrazione dell’offerta di corsi dedicati, restano intorno al 60% gli studenti che hanno svolto almeno un’attività lavorativa. Pesa negativamente sul dopo un 35% di universitari che non ha mai provato a lavorare prima di affacciarsi al mercato del lavoro.

Dopo un anno dalla laurea il 75% dei laureati di primo livello e il 77,1% di quelli di secondo sono occupati, crescono i contratti a tempo indeterminato, mentre calano quelli a tempo determinato e le attività autonome.

La contrazione demografica e la scarsità di molti titoli di studio spiega la tendenza di un miglioramento del mercato del lavoro per i giovani con buona formazione.

A cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione risulta del 92,1% per i laureati di primo livello e dell’88,7% per quelli di secondo livello, i risultati sono molto alti tra le lauree scientifiche ed economiche, mentre calano per le università umanistiche.

Contrattualmente la situazione è in miglioramento con una crescita dei contratti a tempo indeterminato.

Negativo resta il dato sul calo di salari e stipendi, restano bassi per il ritardo di molti rinnovi contrattuali e per l’effetto dell’inflazione degli ultimi due anni.

Il nostro resta un mercato del lavoro difficile per i giovani, se hanno una formazione terziaria hanno sicuramente buone chance per trovare un lavoro migliore e corrispondente alla formazione acquisita.

I contratti di inserimento sono tutti da ripensare e sarebbe ora di togliere di mezzo quelli che dopo una formazione lunga acquisita non sono ancora veri contratti di lavoro.

Alfredo Magnifico

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