Studi di settore, che palle! Importante sentenza in Lombardia

Gli studi di settore sono lo specchio fiscale dell’incapacità di avere una pubblica amministrazione efficiente. E sono, soprattutto, un pesante e immotivato aggravio di costo, nonché fonte di incertezza operativa per la stragrande platea delle imprese e dei professionisti italiani. Se la pubblica amministrazione fiscale italiana funzionasse non avrebbe bisogno di un software (Gerico) abbastanza stupido e poco esperto (nel senso che non impara dai suoi errori) per rifare la contabilità a tutti gli operatori economici italiani, con esclusione dei più grandi. Perché alla fine a questo servono gli studi di settore: ti rifanno i conti a casa tua. E guarda caso te li rifanno sempre in modo che tu , per stare tranquillo con il fisco, debba versare dei soldi nelle casse pubbliche, sotto forma di cosiddetto adeguamento agli studi di settore. Una vessazione bella e buona che dovrebbe essere soppiantata da controlli mirati ed efficaci delle agenzie fiscali, magari sui contribuenti più grandi e significativi quelli dove, secondo tutti gli studi scientifici esistenti, si annida la stragrande maggioranza dell’evasione italiana, insieme alla criminalità organizzata. E invece no. Ci si continua ad accanire con pizzetterie, bar di paese, microfficine e piccoli commercianti sapendo che la sproporzione di forze indurrà i piccolini a tirare fuori altri soldi pur di non essere vessato da fisco, accertamenti, costosi contenziosi ed Equitalia. Un sistema del piffero contro cui qualcuno, coraggiosamente, si ribella. E trova anche un giudice a Berlino. E’ il caso della commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia che, con la sua pronuncia 3875 del 14 settembre scorso ha fatto finalmente giustizia di questa mostruosità italiana chiamata studio di settore. Una società riceve la busta verde di una cinquantina di fogli dell’agenzia delle entrate che contesta alla stessa ai fini Iva, Irpef e Irap la mancata dichiarazione di ricavi. Perché? si chiedono i soci che hanno una contabilità del tutto regolare. Dove mai starebbero questi ricavi a nero? Ma è chiaro: li ha scovati Gerico, perché la società non era congrua e coerente con gli studi di settore. La società allora fa ricorso ma in primo grado perde, perché secondo i giudici gli studi di settore sono di per sé una presunzione schiacciante di mancata dichiarazione di ricavi. L’azienda non si dà per vinta, propone appello e finalmente trova giustizia. La Commissione della Lombardia specifica come le presunzioni semplici che fuoriescono da Gerico devono comunque essere gravi, precisi e concordanti.

Nel caso dell’accertamento di specie la Commissione precisa che tali elementi gravi, precisi e concordanti si devono aggiungere agli studi di settore che di per sé foniscono solo la presunzione semplice e cita a supporto di tale impostazione la sentenza della Cassazione 2015/12290. Siccome perdi tali elementi gravi, precisi e concordanti non c’è traccia alcuna nell’accertamento, basato solo sui calcoli di Gerico la Commissione riforma la sentenza di primo grado, assolve la società e condanna l’agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali, stabilite in euro 5000. Chapeau! Finalmente nella kafkiana selva del Fisco italiano l’agrimensore K ha trovato la porta giusta. Speriamo solo che sia il primo passo verso una completa abolizione di questo istituto abnorme, odioso e che fa dimenticare come l’Italia sia stata da sempre la patria del diritto e della normazione. (Pietro Colagiovanni)

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