In Italia, alla luce dei sempre più frequenti fenomeni criminosi ai danni delle persone, è avvertita da molti l’esigenza di munirsi di un’arma per poter fronteggiare, nel malaugurato caso di aggressione, un malintenzionato.
Da detta esigenza è derivata, da parte dei cittadini, la corsa all’acquisto di congegni diretti alla “legittima difesa”, tra cui i cd. storditori elettrici.
Ciò detto, dal punto di vista giuridico è opportuno chiarire la liceità e la legittimità dell’acquisto e del porto di detti strumenti.
E’ necessario, in primis, fare un’importante distinzione tra le tipologie di arma.
Vi sono quelle vere e proprie, che necessitano di una specifica autorizzazione e vi sono, dall’altro lato, i cd. “strumenti atti ad offendere”.
La definizione di “arma”, nel nostro Ordinamento, deriva dal combinato disposto delle norme del Codice Penale (artt. 585 e 704 c. p.), del T. U. L. P. S. (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – art. 30) e della legislazione vigente in materia di armi: legge 18 aprile 1975, n. 110 e ss..
Alla luce di dette norme si intendono per “armi” (proprie) quelle da sparo, quelle la cui destinazione naturale è l’offesa della persona, gli strumenti atti ad offendere dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, nonché le materie esplodenti ed i gas asfissianti o accecanti. Altra cosa sono le c. d. “armi improprie”, ossia quegli strumenti che non hanno come fine primario l’offesa alla persona ma possono essere utilizzati in tal modo (vi rientrano, ad esempio, le mazze, i tubi, le catene, i bulloni, le sfere metalliche, etc…). Per queste ultime la legge vieta in modo assoluto, ai sensi dell’art. 4 della legge 110 del 1975, il porto fuori dell’abitazione.
Fatta questa importante distinzione occorre passare alla qualificazione giuridica dello storditore, partendo da una differenza essenziale tra due tipologie: gli stungun (o dissuasori elettrici) e i taser.
I primi sono congegni di dimensioni e peso contenuti, alimentati con batterie alcaline, che emettono scariche elettriche ad altissimo voltaggio ed indeboliscono l’aggressore, mandando in “cortocircuito” il suo sistema nervoso; provocano nello specifico contrazioni muscolari involontarie e rendono difficoltosa la coordinazione e faticosi i movimenti.
Questi strumenti sfuggono dalla definizione giuridica di “arma” e dalla relativa disciplina; possono essere liberamente acquistati senza la necessità del possesso di un porto d’armi o di un nulla osta e la detenzione non è soggetta ad alcuna denuncia.
Discorso diverso deve farsi per i taser che, invece, sono strumenti che possono colpire anche da lontano, attraverso dei dardi collegati al trasformatore e propulsi mediante una carica di aria compressa. Questi strumenti sono assimilati in tutto e per tutto alle armi e vietati in Italia. Chi dovesse essere trovato in possesso di un taser, verrebbe dunque denunciato per porto abusivo di armi ai sensi dell’art. 699 del codice penale.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, con una recente Sentenza ha chiarito come il taser abbia natura di arma comune da sparo, trattandosi di un dispositivo che ha il funzionamento tipico di tali armi e che, lanciando piccoli dardi che a contatto con l’offeso scaricano energia elettrica, è sicuramente idoneo a recare un grave danno alla persona (Cass. pen. Sez. II, 25-10-2016, n. 49325).
In conclusione, l’unico strumento liberamente acquistabile in Italia è lo stungun ma lo stesso, anche se posseduto, non può essere portato fuori dalla propria abitazione, altrimenti si rischia ai sensi dell’art. 4 della l. 110 del ‘75 la sanzione dell’arresto da un mese ad un anno e l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro.
Avv. Silvio Tolesino
Storditore elettrico per la legittima difesa: caratteristiche e disciplina giuridica
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