Sono le persone e non le macchine il vero valore del lavoro

Una frase del Papa colpisce profondamente la mia fantasia di vecchio sindacalista e mi accorgo di quale profonda verità nasconda, ognuno potrebbe ritenerla scontata ma non lo è,anzi, porta a profonde riflessioni: “In un’azienda il «capitale umano, etico e spirituale vale più del capitale economico e finanziario», perché sono gli uomini, e non le macchine, «il vero valore del lavoro»”. –

Quando penso ai dirigenti aziendali o agli imprenditori di una volta, penso a Olivetti, Agnelli etc.. ai tanti che ho incontrato nella mia lunga vita sindacale tutti protesi per i loro dipendenti al “Bene comune”.

Non è possibile immaginare un miglioramento del Bene comune, ossia della vita economica e sociale, della giustizia, delle condizioni di vita dei più poveri, se non si considerano gli imprenditori, attori dello sviluppo e del benessere, vero motore essenziale della ricchezza, della prosperità, della felicità di tutti i dipendenti.

All’inizio del ‘900, quando creano le fabbriche, tiravano su anche villaggi ben attrezzati, con l’acqua, l’elettricità, le scuole e gli asili nido,ma anche il teatro, perché gli operai potessero elevarsi spiritualmente…Bisognerebbe tornare a questo tipo di imprenditoria.

La stessa esperienza delle 150 ore, fatta negli anni ’70, un patto per la qualità della vita, per lo sviluppo, che coinvolse tre soggetti: lo Stato, che aveva ideato tutto questo percorso, i lavoratori e le organizzazioni sindacali, che davano la disponibilità ad usare il loro tempo libero, anche se non pagato, per studiare e per continuare a formarsi,  tutto il corpo insegnante, gratuitamente mise a disposizione a titolo gratuito il suo tempo per far sì che tutti i lavoratori, che allora avevano a malapena la licenza elementare, potessero arrivare a quello di scuola media.

Una volta l’imprenditore viveva il lavoro come una vocazione, come un compito morale, come un destino esistenziale.

Gli imprenditori soffrono quando la loro azienda soffre, e soffrono molto quando l’azienda fallisce o deve chiudere, il periodo che stiamo attraversando non è facile per nessuno, il mondo imprenditoriale ha sofferto molto: prima per la crisi finanziaria, poi per queste guerre assurde e per gli anni molto difficili della pandemia.

Uno dei modi più importanti per partecipare al Bene comune è la creazione di posti di lavoro, di impiego per tutti, in particolare per i giovani, ogni nuovo posto di lavoro creato è una ricchezza condivisa, che non finisce nelle banche a produrre interessi finanziari, ma viene investito affinché nuove persone possano lavorare e rendere la loro vita più dignitosa.

Il lavoro è qualcosa di legittimamente importante e fondamentale e se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, è ancor più vero che sono gli uomini a nobilitare il lavoro, sono le braccia e non le macchine, a essere il vero valore del lavoro.

L’imprenditore si sente Lui stesso un lavoratore; vive del suo lavoro, vive lavorando, e rimane imprenditore finché lavora, quando smette di lavorare, si trasforma in speculatore o in possidente e cambia mestiere,la crisi più grave del nostro tempo è la perdita di contatto dell’imprenditore con il lavoro e con i suoi lavoratori, che diventano “invisibili”.

L’imprenditore è stato sostituito dai Fondi di investimento e ai capi del personale sono subentrati gestori di carne umana, quindi il primo capitale dell’azienda sono gli imprenditori: il loro cuore, la loro coscienza, le loro virtù, la loro voglia di vivere, la loro voglia di giustizia.

Le nuove sfide della nostra complessa società non possono essere affrontate senza dei buoni imprenditori, fare impresa non basta, puntare solo all’economia è fuorviante: la creatività e l’innovazione sono necessarie nella società civile, nelle comunità, nella cura del creato.

La vera rivoluzione è tornare a parlare di lavoro, serve una nuova “teoria dell’impresa”, con una borghesia illuminata, imprenditori illuminati, senza nuovi imprenditori, la società non resisterà ad asservirsi al capitalismo, è necessaria l’introduzione dei principi di democrazia economica anche all’interno delle imprese.

La nostra Costituzione rimane un capolavoro ma in taluni aspetti non è riuscita a concretizzarsi, anche se ci sono state grandi fasi realizzative negli anni ’70, dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale ad opera di Tina Anselmi,  allo Statuto dei lavoratori, al Diritto di famiglia…tantissime cose, alle 150 ore, alla legge sulla ristrutturazione e riconversione industriale, all’equo canone… sono state fatte cose bellissime… poi è arrivato il neoliberismo. ai primi anni 2000, con chi voleva modificare, distruggendo gli articoli della Costituzione, in particolare quello in cui si afferma che l’impresa ha una responsabilità e un’utilità sociale.

Abbiamo subìto un attacco terribile, periodo che  andrebbe esaminato, perché l’attacco è venuto anche da parte della sinistra, oggi,c’è il dovere morale di tornare a realizzare il dettato costituzionale che nella sua poetica semplicità ci indica una strada che dobbiamo percorrere.

C’è un grandissimo lavoro da fare sui valori, sulle energie morali, sulle fonti della normatività sociale, è in gioco molto di più: la possibilità di portare l’analisi e la prassi al cuore in difficoltà del capitalismo, la strada per la ricostruzione non può che ripartire dall’uomo, dai suoi, insopprimibili, bisogni relazionali.

Alfredo Magnifico

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