Sentenza della Cassazione: Lavoratore Mobbizzato e onere della prova

Tante volte nella mia vita di sindacalista i lavoratori a seguito di discussioni anche animate con i datori di lavoro o con i capi servizi, mi proponevano di avviare cause di Mobbing, sulla quale ho sempre dimostrato resistenza e consigliato lo stesso che consigliava mio nonno, “dopo la doccia oliati e fatti scivolare tutto”.

Ora finalmente arriva una sentenza della Cassazione che dimostra la giustezza del mio tentennamento.

La Cassazione con l’ordinanza n. 29400 del 14.11.2024, afferma il seguente principio di diritto: “Le ipotesi di mobbing costituiscono violazioni dell’art. 2087 c.c. e, quindi, integrano fattispecie di responsabilità contrattuale che si caratterizzano, rispetto alle altre infrazioni del menzionato art. 2087 c.c., per il fatto di assumere rilievo principalmente in presenza di una serie di condotte legittime del datore di lavoro unificate da un intento persecutorio le quali, nonostante la formale correttezza dell’operato del detto datore, rappresentano, comunque, proprio in ragione di tale intento, un inadempimento agli obblighi derivanti dal citato art. 2087 c.c.”.

Il dipendente ricorre in giudizio per richiedere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta mobbizzante e vessatoria tenuta nei suoi confronti dall’Ente datore di lavoro nel periodo dall’8 luglio 1998 al 31 marzo 2003.

La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, non ritenendo raggiunta la prova del dedotto inadempimento datoriale.

La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, rileva, preliminarmente, che si integra la fattispecie del mobbing in presenza di una serie di condotte legittime del datore di lavoro che siano unificate da un intento persecutorio, ovvero, continua la sentenza, nonostante la formale correttezza dell’operato del datore, le condotte mobbizzanti rappresentano, comunque, un inadempimento agli obblighi derivanti dall’art. 2087 c.c. proprio in ragione dell’intento nocivo che le anima.

Secondo i Giudici di legittimità, quindi, il lavoratore che denuncia la ricorrenza di un’ipotesi di mobbing deve:

– allegare l’inadempimento datoriale;

– provare il titolo del suo diritto, il danno eventualmente subito e il nesso causale fra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato;

– dimostrare il citato intento persecutorio.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, non ritenendo assolto detto onere probatorio nel caso di specie, rigetta il ricorso proposto dal dipendente.

Alfredo Magnifico

Commenti Facebook