Il cittadino che lamenta rumori provenire dall’immobile del vicino che superano la soglia della normale tollerabilità, ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale anche senza la prova di uno specifico danno alla salute come quello biologico. Né il risarcimento può essere limitato tenuto conto della priorità temporale dell’attività commerciale esercitata, rispetto alla destinazione abitativa, nella determinazione dei danni.
A ribadirlo la Cassazione con l’ordinanza 21554/18, pubblicata il 3 settembre dalla seconda sezione civile che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ritiene un significativo arresto in materia a tutela del diritto alla quiete nella propria dimora. Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione della Corte d’Appello di Roma per quanto riguarda il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale liquidato in via d’equità nella misura di 10.500 euro nei confronti di un condomino che aveva citato in tribunale il titolare di un’officina contigua a causa dell’immissioni rumorose da lì provenienti, ritenendo risarcibile solo la compromissione del pieno svolgimento della vita domestica, escludendo il danno alla salute dal momento che i rumori superavano di poco la soglia di normale tollerabilità.
Anche per i giudici di legittimità, infatti, «L’assenza di un danno biologico documentato peraltro, non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo». Se la corte territoriale si è uniformata a tale indirizzo, riconoscendo al condomino, che non ha provato altro, il solo danno derivante dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare, tuttavia ha erroneamente considerato, ai fini dell’ammontare del risarcimento, pure il criterio della “priorità dell’uso”.
Rilevano, in tal senso, i giudici di Piazza Cavour che «secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la valutazione equitativa, avendo ad oggetto un apprezzamento di fatto, è sottratta al sindacato di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici, mentre nel caso di specie uno dei criteri di determinazione del danno utilizzati dal giudice di merito risulta errato, non potendo ad esso farsi riferimento ai fini della liquidazione del danno».