Nullo il licenziamento basato su dati acquisiti illegittimamente

La Suprema Corte di Cassazione Civ. Sez. Lavoro, con la sentenza 1° settembre 2023, n. 25645, affronta il licenziamento di un dipendente accusato di aver timbrato il badge per l’ingresso in azienda in luogo di una sua collega ritardataria, ne viene fuori che; “le risultanze derivanti dal controllo automatico a distanza sono inutilizzabili se manca l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.”

Tema della sentenza è il controllo a distanza dei lavoratori, disciplinato dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), rivisitato dal Jobs Act, ma la versione che trova applicazione nel caso in specie è quella ante Jobs Act.

Il fattoun dipendente veniva licenziato per aver timbrato due volte l’ingresso in azienda al posto di una sua collega ritardataria, utilizzando il badge di quest’ultima.

Il dipendente impugnava il licenziamento con ricorso al Tribunale di Roma, eccependo la violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e argomentava che le apparecchiature impiegate in azienda per controllare l’orario di ingresso e di uscita dal lavoro dei dipendenti fossero state installate senza preventivo accordo con le organizzazioni sindacali e senza preventiva autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, pertanto, a detta del lavoratore, i rilevamenti dovevano considerarsi inutilizzabili ai fini della prova del fatto addebitato.

Il Tribunale respinge il ricorso, ritenendo che la tipologia di verifica eseguita esulano dall’ambito di applicazione della norma invocata.

La Corte d’Appello di Roma confermava l’interpretazione del Giudice di prime cure, richiamando un orientamento giurisprudenziale che “aveva sempre escluso che il controllo dell’ingresso e dell’uscita dei lavoratori potesse rientrare nel concetto di controllo dell’attività dei lavoratori”.

Il dipendente proponeva ricorso, la cassazione, stabiliva che “la rilevazione dei dati di entrata ed uscita dall’azienda mediante apparecchiatura predisposta dal datore di lavoro […] si risolve in un accertamento sul quantum dell’adempimento ed è illegittima ai sensi dell’art. 4, comma 2, della L. n. 300 del 1970 se non concordata con le rappresentanze sindacali, ovvero autorizzata dall’Ispettorato del lavoro”.

Il Giudice di Legittimità cassava la sentenza della Corte territoriale e le rinvia la causa con il compito di procedere alla verifica della legittimità dell’utilizzazione dei dati acquisiti per il tramite del badge.

La Corte d’Appello, recependo le indicazioni della Suprema Corte di Cassazione, dichiarava illegittimo ed annullava il licenziamento del dipendente, contro tale decisione veniva proposto ricorso per cassazione. presentato dall’azienda.

La sentenza ha rigettato il ricorso dell’azienda, ribadendo quanto già statuito, rilevando che i dati acquisiti per il tramite dei sistemi di rilevazione delle entrate e delle uscite non fossero utilizzabili e che, mancando altre evidenze per ritenere provata la condotta contestata al dipendente, il suo licenziamento fosse illegittimo, è stato ribadito che per utilizzare le informazioni raccolte attraverso controlli automatici a distanza occorre rispettare quanto richiesto dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Il controllo a distanza del lavoratore è regolato dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori;

il primo comma sancisce che qualsiasi strumento da cui potrebbe derivare un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori può essere impiegato, esclusivamente, per finalità precise e tipizzate (esigenze organizzative e produttive; sicurezza del lavoro; tutela del patrimonio aziendale) e previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro,

il secondo comma prevede una deroga per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorative e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

il terzo comma sancisce che, indipendentemente dallo strumento impiegato, le informazioni raccolte possano essere utilizzare a condizione che il lavoratore venga informato circa le modalità d’uso di tale strumento e dell’effettuazione dei controlli, qualsiasi trattamento di dati ad esso connesso deve rispettare quanto previsto dal Cod. Privacy.

Gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” oggi sul mercato presentano caratteristiche peculiari, che implicano un trattamento dei dati personali del lavoratore più intrusivo e la deroga prevista all’art. 4, co. 2 della formulazione dello Statuto dei Lavoratori non trova applicazione per tutti gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Tale prospettiva risulta coerente con il c.d. principio di minimizzazione sancito nel GDPR, a norma del quale dovrebbero essere trattati esclusivamente i dati necessari e pertinenti alla realizzazione della finalità per la quale gli stessi dati sono stati raccolti.

L’azienda tentava di dimostrare la liceità del licenziamento sostenendo che il controllo realizzato fosse finalizzato “non già a verificare l’esatto adempimento della prestazione lavorativa, bensì ad accertare eventuali comportamenti illeciti posti in essere dal lavoratore”, inoltre, ritenendo la propria condotta orientata ad un “controllo difensivo”, l’azienda sosteneva la non necessità di accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che i controlli condotti dall’azienda rientrassero nella sfera di applicazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, essendo finalizzati a verificare il rispetto dell’orario di lavoro. In effetti, i relativi rilevamenti erano utili a dimostrare l'(in)esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non già, come richiesto dalla giurisprudenza maggioritaria affinché non trovi applicazione l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, la tutela di beni estranei al rapporto stesso.

Alfredo Magnifico

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