La Corte di Cassazione ha condannato un datore di lavoro per aver licenziato una donna in gravidanza, che era stata licenziata dal suo datore di lavoro perché al momento dell’assunzione non aveva rivelato di essere incinta. La Corte di Cassazione ha fatto chiarezza, se la lavoratrice avesse detto di essere incinta non sarebbe stata tutelata a dovere, dopo essersi messa in malattia per un periodo di 15 giorni. Se avesse comunicato prima il suo stato sarebbe stata ostacolato il principio di parità di trattamento.La sentenza della Corte di Cassazione fa giustizia su un argomento piuttosto controverso, infatti molti datori di lavoro si sentono in dovere di non tutelare la futura maternità e per questo vedendola più come un ostacolo che come una risorsa preferiscono togliere la mansione alla lavoratrice in gravidanza. In questo caso il capo della giovane neo assunta ha dichiarato di aver licenziato la giovane a causa di un’assenza di 15 giorni ingiustificata e protratta della ragazza venendo solo in un secondo tempo a conoscenza della gravidanza.
La donna si era presentata al lavoro senza dare alcuna motivazione della sua assenza. L’uomo aveva licenziato la ragazza a marzo 2008 comunicando però il licenziamento oltre la data dei 60 giorni, intendendo così non pagarle lo stipendio per il periodo in cui non aveva lavorato. Inoltre voleva i danni per l’inadempimento del mancato lavoro.
Nel 2012 è stato presentato l’appello e la Corte di Cassazione di Messina ha dichiarato nulla la prima sentenza a favore del datore di lavoro per tre motivazioni:
1.Il licenziamento intimato ad una lavoratrice dall’inizio della gestazione fino al primo anno di vita del bambino è illegale e pertanto il datore di lavoro inadempiente deve essere condannato a riammettere la lavoratrice in servizio e a pagarle i danni dell’inadempimento, in ragione del mancato guadagno.
2.Non comunicare al datore di lavoro dal quale si è stati assunti con un contratto a tempo determinato di essere incinta nel momento dell’assunzione non è motivo sufficiente per dissolvere il rapporto di lavoro o non costituisce una “colpa grave“. La lavoratrice comunicando il suo stato infatti non godrebbe della stessa parità di trattamento, garantito dalla Costituzione.
3.Non è necessario fornire alcun certificato dell’attestata gravidanza, visto che si tratta di una pura formalità. La Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sulla questione: se la lavoratrice avesse detto di essere in dolce attesa non sarebbe stata tutelata a dovere, dopo essersi messa in malattia per un periodo di 15 giorni. Se avesse comunicato prima il suo stato sarebbe stata ostacolato il principio di parità di trattamento.
Alfredo Magnifico