Lotta al sommerso, al lavoro “nero” e alle “morti bianche”

Sono oltre tre milioni le persone “irregolari”, non solo risultano essere senza tutele, ma rischiano la vita per mancanza di prevenzione e formazione, c’è da dire che il lavoro “nero” fa spesso rima con “morti bianche”.

Un esercito di invisibil, sono oltre 200mila gli irregolari che lavorano nel settore agricolo (oltre il 30% del totale dei dipendenti), uno squarcio profondo nel velo dell’illegalità che oscura la filiera agroalimentare italiana, il lavoro povero, precario e sfruttato, alimenta questo settore che registra valori economici elevati con 73,5 miliardi di euro.

Donne e uomini che in media guadagnano intorno ai 5-6mila euro l’anno, spesso sottoposti a fenomeni di sfruttamento e caporalato, senza contratti e diritti, che vanno ad alimentare le cospicue filiera controllate dalla criminalità organizzata.

Le donne lavoratrici rappresentano le potenziali vittime di sfruttamento, 55mila per la maggior parte non intercettate dalle istituzioni.

Il 25° rapporto del Cnel-(Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) su Mercato del lavoro e contrattazione collettiva, assegna alla Campania il triste primato dei lavoratori “invisibili”, è qui che si  registrano gli indici più elevati (43%) di lavoratori a nero, sul totale territoriale di impieghi irregolari.

La Cgia di Mestre sforna dati allarmanti: 308.200 occupati non regolari, con un tasso d’irregolarità del 16,5% e un’incidenza sul valore aggiunto regionale del 6,9%.

Secondo l’Istat, dei 2.848.100 occupati non regolari, 1.061.900 si trovano nel Mezzogiorno, la Calabria ha il tasso di irregolarità più alto con il 19,6%, seguita dalla Campania con il 16,5%.

Le vittime principali sono i più vulnerabili: persone in condizione di estrema povertà, immigrati e donne.

Il lavoro nero è spesso l’anticamera del caporalato, una piaga che non affligge solo l’agricoltura, ma anche settori come l’edilizia, il tessile, la logistica e i servizi di consegna e assistenza.

Tra i lavoratori “veramente poveri” ci sono i rider, spesso sottopagati, senza contratto o tutele, costretti a un lavoro rischioso.

Servirebbero più tutele per un comparto che occupa, secondo le stime, oltre 30 milioni di persone nell’Ue: autonomi a chiamata o parasubordinati che vanno dai tassisti, ai rider per le consegne dei pasti, dai lavoratori a domicilio, passando per babysitter, operatori socio sanitari e badanti e molti altri ancora.

Resta difficile arginare il “lavoro nero” e contenere gli infortuni legati alla mancanza di prevenzione e di misure di sicurezza idonee.

L’impatto più elevato dell’economia non osservata si registra in Lombardia con 31,3 miliardi di euro, segue il Lazio con 20,9, la Campania con 18, il Veneto con 15 e l’Emilia Romagna con 14,8 mentre se prendiamo come parametro di riferimento l’incidenza percentuale di questa piaga sociale ed economica sul valore aggiunto regionale (praticamente il Pil), la realtà più investita è la Calabria con il 19,2% , seguono la Campania con il 18%, la Puglia con il 17,6%, la Sicilia con il 17,3%, la Sardegna e il Molise entrambe con il 16,3%.

Un’indagine condotta dalla Fondazione Brodolini e dall’Inapp- Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche, ha analizzato le condizioni della manodopera di origine straniera impiegata in settori come agricoltura, edilizia, lavoro domestico e turismo, che notoriamente risultano tra quelli a maggior rischio di sfruttamento, fra gli uomini si nota una maggiore concentrazione di persone provenienti da Paesi africani (Marocco, Tunisia e Senegal), mentre i nativi dell’Est-Europa (Albania, Romania e Ucraina) appaiono meno numerosi. Per le donne vale il discorso inverso: la nazionalità maggiormente rappresentata è quella ucraina, seguita da lavoratrici romene, polacche e moldave.

I temi maggiormente analizzati riguardano le condizioni di irregolarità lavorativa, si rileva la presenza di un 51% di persone che lavorano in assenza di contratto, ma più ampio appare il novero delle persone straniere coinvolte dal cosiddetto “lavoro grigio”, caratterizzato da tutte le diverse ipotesi in cui alla stipula di un contratto si accompagna l’inosservanza, nella pratica, di norme legislative e contrattuali.

L’attività più diffusa tra i “lavoratori grigi” riguarda il “personale non qualificato nell’agricoltura e nella manutenzione del verde” (22,1% del segmento), mentre i lavoratori senza alcun contratto appartengono per lo più al “personale non qualificato nei servizi di pulizia di uffici, alberghi, navi, ristoranti, aree pubbliche e veicoli” (19,3% di quanti vengono impiegati in nero). Il 29,1% degli intervistati si trova in una condizione di irregolarità amministrativa, una percentuale più alta tra gli uomini (32,7%) rispetto alle donne (18,5%). Questa condizione espone la manodopera straniera a forme di impiego ambiguo e sub-ottimale: molti sono disposti a lavorare senza contratto (38%) o accettare mansioni dequalificate (30,2%).

Un altro tema, oggetto dell’indagine, riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro: otto intervistati su cento hanno subito infortuni sul lavoro, ma solo il 57,6% di questi ha richiesto assistenza sanitaria in esito al rispettivo incidente.

L’assenza di denuncia è spesso legata a consigli esterni o alla paura di perdere il lavoro, evidenziando un deficit di tutele sul punto. Non è mancata l’attenzione verso le donne: in particolare si trovano ad affrontare sfide specifiche nel settore del lavoro domestico (35,6%) caratterizzato dalla sostenibilità della spesa.

Alfredo Magnifico

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