Speriamo che il 2020 non sia solo un anno da dimenticare, ci lascia in eredità la necessità di una riflessione critica sul nostro ordinamento sociale, sulle difformità nelle garanzie, sulla trascuratezza verso l’ambiente e verso la scuola, di cui ci si preoccupa poco.
Il 2020 è stato un anno pieno di ombre e di percorsi rischiosi, che la pandemia ha fatto esplodere.
Per affrontare il nuovo anno appena iniziato, con un’Italia sfiduciata e allo sbando, soprattutto dal punto di vista politico-istituzionale, la parola-chiave è “fiducia”.
In un’Italia in cui le basi della fiducia vengono sistematicamente erose, invece bisognerebbe permetterne lo sviluppo senza fiducia non c’è futuro, non c’è possibilità di collaborazione, non c’è possibilità di investimento.
Il 2020 è un anno da dimenticare in fretta, perché ci lascia in eredità incertezze, paura, stanchezza e la necessità di una riflessione critica sul nostro ordinamento sociale.
Di fronte alle restrizioni si sono evidenziate difformità nelle protezioni e nelle garanzie tra chi era coperto e chi no, si è riflettuto sulla trascuratezza verso l’ambiente, che può essere una delle cause della diffusione della pandemia, e soprattutto sull’organizzazione del sistema sanitario.
Una riflessione critica s’impone per tornare il più possibile a come era prima, anche se potrebbe essere una tentazione per coloro che prima della pandemia non stavano certo male, questo prima appare sempre più pieno di ombre e di percorsi rischiosi, che sono esplosi con la pandemia, ma erano già presenti.
La pandemia ha accelerato i processi negativi ne abbiamo ricevuto una lezione da custodire, di sicuro ha portato cose negative, ma ci ha anche scoprire cose che erano già negative e che non funzionavano, tutto il dibattito poco sviluppato, sulla scuola, l’educazione, le disuguaglianze dentro la scuola, la povertà educativa, problemi già esistenti, che adesso che sono emersi in tutta la loro negatività non più non vedere, anzi dovremo attrezzarci per contrastarli.
Poi c’è il tema della solidarietà, il Censis dice che siamo diventati più egoisti, certamente non usciremo dalla pandemia migliori di prima ma di fronte a resoconti troppo irenici o molto più cinici, come appunto il rapporto Censis che ci descrive tutti un po’ più egoisti, si sono scoperti tesori di solidarietà personale e di capacità di organizzazione civica, che sarebbe bene non andassero dispersi, è una voglia di fare qualcosa di utile, di buono, per gli altri su cui bisognerà lavorare perché rimanga, venga valorizzata, si solidifichi e diventi sistema e non eccezione.
Dopo mesi di lockdown e di restrizioni si sente voglia di ripresa, anche perché se non riprendiamo rischiamo una brutta fine, c’è la voglia di tornare a vite più normali, meno costrette da vincoli occorre stare attenti a pensare che si possa riprendere così come se niente fosse, il Covid rimarrà con noi a lungo e se va bene solo con le vaccinazioni avremo l’immunità di gregge, non sappiamo se e quando il virus tornerà.
Si parla tanto di nuova normalità, punti fermi, àncore, appigli da cui ripartire ,occorre dare una comunicazione pubblica, collettiva, sul fatto che atteggiamenti di prudenza e protezione sono qui per rimanere.
Dovremo abituarci a vite più controllate e ad assumerci maggiori responsabilità per il benessere complessivo, la politica non può oscillare dentro la fretta di chiudere senza dare un orizzonte e un percorso praticabile.
Tutte le riprese non possono prescindere da problemi di sicurezza e di prevenzione, sarà necessario organizzare in maniera più ampia e organica la sicurezza nelle imprese e andrà ripensata l’organizzazione delle città, nella scuola sarà sempre più urgente innovare la didattica, una ripresa che sia creativa, che utilizzi quello che abbiamo imparato, nella direzione di una maggiore efficacia ed equità.
La generazione adulta ha distrutto una fetta di futuro, ha creato una generazione perduta; occorre che si dia una una chance a questa generazione, non si stà facendo molto perché non si perda, soprattutto rispetto alle fasce più svantaggiate, è profondamente sbagliato non preoccuparsene adesso perché non è stato messo nulla in campo dal punto di vista istituzionale, pur in presenza di splendide iniziative di singole scuole, di singoli insegnanti e di molta società civile, manca un pensiero, un’attenzione istituzionale e questo è molto preoccupante. E non è che non ci siano i dati, le disponibilità, i modi.
I fondi Next Generation Eu, o Recovery fund, dovrebbero avere i giovani, che stanno pagando il prezzo più alto di esclusione dalla vita della società, al centro del loro cuore, creando occasioni, strumenti, modalità, a partire dall’istruzione e dall’educazione, occorre che si diano risposte affinché possano non solo recuperare il perso, ma sviluppare appieno le proprie potenzialità.
Stiamo vivendo un’emergenza su più livelli: sanitaria, economica, educativa, psicologica e istituzionale. L’Italia è allo sbando, lo è in particolare per quanto riguarda la politica.
Quello che sta succedendo in questi giorni è drammatico, al di là delle singole buone ragioni, è come se a nessuno interessasse dove stiamo andando a sbattere ci sono tantissimi nella società civile, che come possono, dal basso, stanno tentando di tenere assieme questa barca, ma se non tiene l’apparato istituzionale e politico il rischio è altissimo,è un’Italia in cui le basi della fiducia vengono sistematicamente erose, invece bisognerebbe permetterne lo sviluppo.
C’è uno sfilacciamento terrificante, con perdita reciproca di fiducia, bisognerebbe avere più fiducia nei cittadini, invece è stato dispensato troppo paternalismo e poco coinvolgimento, specie dei più giovani e di adulti responsabili.
La parola chiave deve essere “fiducia”, però, la fiducia non cresce sugli alberi, va costruita, senza fiducia non c’è futuro, non c’è possibilità di collaborazione, non c’è possibilità di investimento.
Alfredo Magnifico