L’Istituto Cattaneo, in un report pubblicato il 21 gennaio 2022, analizza l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della forza lavoro per il prossimo futuro.
La proiezione delle forze lavoro al 2030 offre uno scenario non troppo allegro, emerge con un’ ipotesi volutamente semplificata; una mortalità nulla, i tassi di occupazione invariati per genere, età e titolo di studio, l’obiettivo è la stima dell’ immigrazione necessaria a mantenere i livelli occupazionali erosi dal calo demografico.
Per il Centro-Nord il calo nel 2030 viene ipotizzato in un milione e 200mila lavoratori, con una perdita di manodopera con basso titolo di studio, mancheranno giovani poco istruiti e quelli istruiti saranno bloccati dai lavoratori maturi e istruiti, pure loro, a “fare da tappo” sulle posizioni lavorative migliori.
Al sud ci sarà un aumento di occupati, dato che il rallentamento demografico è più recente, ma anche qui la crescita dell’istruzione e dell’età farà mancare un numero rilevante di giovani poco istruiti.
Dal report emerge che potrebbero cambiare le propensioni al lavoro, più donne occupate e la carenza di giovani poco istruiti, compensata dal ricorso all’immigrazione, per reperire “manodopera” già prevista dalla normativa italiana vigente sulle quote.
Lo scorso aprile 2020 Eurostat ha prodotto le proiezioni demografiche per 31 Paesi europei, con il risultato che la quota di persone in età da lavoro scende sotto il 60% entro il 2037 mentre per il 2060 le proiezioni indicano che in più della metà degli Stati membri ci saranno meno di due persone in età da lavoro per ogni anziano.
Istat a novembre 2021 anticipa che in Italia la situazione è più difficile che nel resto d’Europa: la popolazione in età lavorativa scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale.
Coloro che lavoreranno fra 10 o 15 anni sono già tutti nati, ne le pensioni anticipate sono quello che ci servirà per rilanciare lo sviluppo e neanche il blocco delle migrazioni risulta essere manovra sensata; stando ai numeri volere tutte e due le cose contemporaneamente diventa insostenibile, a meno che non si aspiri a un futuro prossimo fatto di miseria.
Ci sono scelte di politica del lavoro che vanno fatte oggi per evitare il peggio domani.
La ripresa del mercato del lavoro coincide con una mancanza di lavoratori di ogni età, Eurostat riporta che il 25% delle imprese nel settore dei servizi ritiene la mancanza di lavoratori un fattore limitante la produzione, la percentuale per l’industria è di poco più bassa.
La competizione internazionale per attrarre lavoratori, e fra questi i giovani a elevata competenza, è stata temporaneamente rallentata dalla pandemia, contemporaneamente dimostrano atteggiamenti verso il lavoro diversi da chi li recluta, infatti,cresce il fenomeno delle dimissioni volontarie tra i 26-46 anni, nelle mansioni impiegatizie, un fenomeno cresciuto del 15% (in alcuni casi del 30%) rispetto al passato.
Sul fenomeno dimissioni pesa la ripresa del mercato e la ricerca di condizioni economiche più favorevoli, il bisogno di un maggior equilibrio tra vita privata e vita lavorativa e soprattutto il rifiuto del clima negativo in azienda, la competizione ad accaparrarsi giovani con elevata qualificazione è ripartita.
Chi non si accorge dei cambiamenti del mercato del lavoro perde occasioni, i giovani rifiutano; paternalismo, stage extracurriculari e salari di ingresso troppo bassi,preferiscono migrare.
Da vecchio esperto ho sempre raccomandato e raccomando alle imprese; se le persone ti servono veramente, pagale; vale per il privato, vale per il pubblico.
Occorre cambiare musica e suonatori le politiche del lavoro e dei salari sono necessarie.
I movimenti migratori dipendono da molti fattori economici e sociali, oltre che demografici, l’Italia, secondo Istat è “un Paese che potrebbe radicalmente mutare la sua natura di accoglienza per tornare a essere un luogo da cui emigrare, la probabilità che il Paese possa conseguire un saldo netto, con l’estero, di segno negativo non è un’ipotesi peregrina.
Gran parte del dibattito politico-partitico-sindacale rischia di essere fondato su slogan, se non tiene conto delle politiche del lavoro e dei salari, rischia di essere privo di senso e infondato, è ora di smetterla di fare demagogia su pensioni e immigrazione e ora di attivare un tavolo su, flussi migratori,formazione,lavoro e salari.
Alfredo Magnifico