Uno studio della società americana Gallup (State of the Global Workplace) del 2024, ha rilevato un fenomeno preoccupante: i lavoratori attivamente impegnati a sabotare la propria impresa.
Secondo il rapporto, il 23% dei dipendenti è attivamente coinvolto nel proprio lavoro, mentre il 62% è disimpegnato e il 15% è attivamente disimpegnato.
L’Istat rileva una crescita di lavoratori occupati, questi, però, non se la passano bene nei luoghi di lavoro, con ripercussioni negative su produttività e crescita economica, così che a leggere le ricerche e gli articoli dei giornali in materia economica e lavoristica, il mondo del lavoro risulta essere in grande difficoltà.
Così che noi che mai abbiamo studiato l’inglese ci tocca tastare con mano che esistono termini che definiscono i vari malesseri e al fenomeno della “Great Resignation”, (dipendenti che in massa lasciano i posti di lavoro), si è aggiunto il “Quiet Quitting”, un silenzioso disimpegno nei luoghi di lavoro, dove tanti fanno il minimo indispensabile per non farsi licenziare, ma completamente distaccati da obiettivi e valori delle aziende.
I dati impressionanti registrano un generale malessere dei lavoratori, i quali dichiarano di vivere una situazione lavorativa stressante con impatto negativo su prestazioni e produttività.
Il dato italiano è ancora più preoccupante: secondo la ricerca, il 25% dei lavoratori sarebbe “attivamente disimpegnato”, mentre il 46% dichiara di vivere un ambiente di lavoro stressante, dati che ci fanno comprendere come sono importanti; motivazione, senso di scopo, giusta retribuzione e ambiente di lavoro sano, servirebbe una maggiore attenzione all’aspetto della salute mentale sul posto di lavoro e promuovere un ambiente lavorativo sano.
I motivi che portano i lavoratori all’apatia lavorativa sono:la mancanza di riconoscimento per il lavoro svolto, la cattiva gestione dei rapporti in azienda, un ambiente di lavoro stressante e tossico, la mancanza di crescita professionale e il trattamento retributivo inadeguato.
Molte aziende di media grandezza cercano di correre ai ripari con analisi del clima aziendale, istituendo pacchetti di welfare per promuovere il benessere, formando i manager per favorire un clima positivo,ma,il tessuto imprenditoriale italiano è costituito da piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, che trovano difficile affrontare queste nuove sfide per garantire ai dipendenti un ambiente di lavoro più sano, e spesso, non possiedono le competenze manageriali, la cultura o le risorse economiche per gestire queste problematiche anche se esistono alcune soluzioni che potrebbero essere meglio conosciute.
I sistemi contrattuali offrirebbero un welfare bilaterale spesso poco praticato dalle piccole aziende: formazione, contributi e sussidi che potrebbero complementare e/o integrare le costose politiche di welfare aziendale.
Assistenza sanitaria e previdenza complementare, che sulla busta paga dei lavoratori comportano un costo e dovrebbero essere offerte contrattualmente ma sono spesso poco conosciute specialmente dai lavoratori delle piccole imprese.
Attraverso la bilateralità, sarebbe possibile accedere a percorsi di formazione gratuita e dotarsi di competenze manageriali necessarie per le difficoltà che i lavoratori e le aziende stanno vivendo.
L’art. 2087 del codice civile, recita, “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro“.
La magistratura si è occupata del benessere in azienda, la Cassazione con la sentenza n. 15957 del 7 giugno 2024 ha sancito che un clima aziendale stressante dà diritto al risarcimento del danno anche in assenza di azioni mobbizzanti, e dalla Cassazione Civile, Sez. Lav., del 19 gennaio 2024, n. 2084.
“Un ambiente di lavoro sano e positivo contribuisce ad avere lavoratori più soddisfatti e impegnati negli obiettivi aziendali. È fondamentale che la politica e le parti sociali prendano atto di queste necessità e si dotino per rispondere alle esigenze del tessuto produttivo delle piccole aziende, attualmente le meno attrezzate per affrontare questa sfida epocale. Buona parte di questi imprenditori si fida delle proprie associazioni datoriali e, soprattutto, dei consulenti del lavoro, il cui ruolo si è evoluto per assistere le aziende nella complessità delle situazioni che si trovano ad affrontare.”
Un ambiente di lavoro sano e positivo passa attraverso una corretta valutazione di tutti i rischi aziendali, compresi quelli psicosociali, spesso sottovalutati nei documenti della valutazione dei rischi e trattati in modo semplicistico: l’importanza di un lavoro sinergico tra gli attori della sicurezza (datore di lavoro, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, responsabili della prevenzione e protezione, medico aziendale, lavoratori) è di fondamentale importanza.
Una collaborazione stretta tra parti sociali, imprenditori e consulenti del lavoro è essenziale per creare ambienti di lavoro sani e produttivi, solo così si potranno affrontare le sfide del futuro, garantire il benessere dei lavoratori e la competitività delle aziende.
Alfredo Magnifico