Libertà e limiti nel criticare il datore di lavoro

Il diritto di critica del lavoratore, verso il proprio datore di lavoro, trova origine nell’art. 21 della Cost. che riconosce la libertà di manifestare il proprio pensiero, purché avvenga con modalità non contrarie al buon costume e nel rispetto di valori quali decoro e dignità della persona.

Il diritto di critica è sancito dall’art. 1 della L. 300/70 (statuto dei Lavoratori) secondo cui tutti i lavoratori hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero sul luogo di lavoro.

Il diritto di criticare il datore di lavoro deve essere bilanciato con il dovere di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del codice civile, ai sensi del quale i dipendenti non possono ledere la reputazione del datore di lavoro o recare pregiudizio all’azienda.

I Tribunali italiani considerano i social il luogo nel quale è possibile criticare il datore di lavoro, poiché molti comunicano sui social con disinvoltura, può essere utile sapere come evitare un procedimento disciplinare.

Un post condiviso sui social con critiche false o toni eccessivi può costituire una valida ragione per intimare il licenziamento per giusta causa, fanno eccezione i messaggi inviati tramite chat o all’interno di gruppi chiusi, tutelati dal principio di inviolabilità della corrispondenza previsto dall’articolo 15 della Costituzione.

Viene Salvaguardato il diritto del datore di lavoro alla tutela del proprio onore, della propria reputazione e il limite costituito dall’art. 2105 c.c. che sancisce l’obbligo di fedeltà del dipendente, che deve essere abbinato a correttezza e buona fede che condizionano la libertà di manifestazione del pensiero sia all’interno che all’esterno del luogo di lavoro (Cass. 1379/2019).

Il confine del diritto di critica si supera nel momento in cui si addebita all’impresa o ai suoi rappresentanti condotte riprovevoli non tenute, o si attribuisca al datore di lavoro qualità apertamente disonorevoli utilizzando riferimenti volgari, infamanti e tali da suscitare disprezzo e dileggio (Cass. 1379/2019).

Le critiche formulate dai lavoratori nei confronti dell’azienda devono essere: veritiere ed esternate con modalità espressive moderate, rispettando il principio della continenza che si esplica in:

continenza sostanziale, in virtù del quale i fatti sui quali la critica si fonda devono corrispondere a verità;

continenza formale, la critica deve avvenire in maniera moderata e misurata; le modalità espressive devono essere rispettose dei canoni condivisi, di correttezza, di misura e di civile rispetto della dignità altrui.

La violazione anche di uno solo di tali limiti implica l’illiceità della condotta del lavoratore e legittima un licenziamento disciplinare.

La diffusione di un messaggio offensivo attraverso un social network, nei riguardi di persone facilmente individuabili, integra un’ipotesi di diffamazione (aggravata, commessa “col mezzo della stampa”, (art. 595 c.p.) per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, da ciò consegue che è legittimo il licenziamento per giusta causa per condotta idonea a concretizzare un grave inadempimento del dovere di fedeltà imposto al dipendente (Cass. 10280/2018).

Diverso è il caso di messaggi inviati su chat private o in gruppi chiusi ( Fb o Whatsapp), non inoltrati ad una moltitudine indistinta di persone, ma solo a iscritti ad un determinato gruppo o chat: tali messaggi sono considerati corrispondenza privata(art. 15 Cost.) segreta e inviolabile, lo stesso dicasi per i messaggi di posta elettronica scambiati tramite mailing list riservata agli aderenti ad un determinato gruppo di persone o le chat private con accesso condizionato al possesso di una password fornita a soggetti determinati, preclude l’accesso di estranei al contenuto delle comunicazioni, la rivelazione e l’utilizzabilità del contenuto.

L’ordinamento prevede anche specifiche ipotesi delittuose quali l’accesso abusivo a sistemi informatici, la violazione della corrispondenza e la rivelazione del contenuto della stessa (artt. 615-ter, 616 e 617 c.p.).

Non è diffamatorio l’utilizzo da parte del dipendente che riveste la carica di RSA di espressioni “colorite” nei confronti dell’amministratore delegato in una conversazione in un gruppo limitato di dipendenti sindacalmente attivi su una chat di Facebook con accesso condizionato al possesso di una password. Tale comportamento costituisce più che legittima espressione del diritto di critica sindacale, forma di comunicazione privata in cui i lavoratori possono dare libero sfogo alla propria insoddisfazione rispetto alla gestione aziendale (Cass. 21965/2018).

Una recentissima sentenza riporta che non costituisce condotta diffamatoria l’utilizzo da parte del dipendente nel gruppo whatsapp “Amici di lavoro” di espressioni di contenuto offensivo, minatorio e razzista nei confronti di un superiore gerarchico, poiché si tratta di una chat privata e ristretta a un numero chiuso di partecipanti con l’ impossibilità che quanto detto in quella sede possa essere veicolato all’esterno (Tribunale di Firenze 16/10/2019).

Il diritto di critica del dipendente costituisce un ambito particolarmente delicato in cui si realizza il necessario bilanciamento tra la libertà di manifestare il proprio pensiero e la tutela dell’onore e della reputazione dell’azienda.

I criteri individuati dalla giurisprudenza in tema di cronaca giornalistica trovano ormai applicazione anche al rapporto di lavoro e impongono al lavoratore un comportamento controllato, che non sfoci nell’offesa gratuita e nella violenza verbale, a maggior ragione nell’era dei social in cui ogni foto o opinione pubblicata su una bacheca ha una potenzialità di diffusione esponenziale.

Alfredo Magnifico

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