L’Europa impone la trasparenza salariale

L’ultimo censimento di Indeed sostiene che l’Italia è agli ultimi posti in Europa per tasso di pubblicizzazione dei salari negli annunci di lavoro, infatti, nel 2024, eravamo al 19,3%, contro il 69,7% del Regno Unito, il 50,7% della Francia e il 45,3% dei Paesi Bassi. Peggio di noi fa solo la Germania con il 15,8%.

Entro giugno 2026, l’Italia dovrà recepire la direttiva europea sulla trasparenza salariale, che dà diritto ai dipendenti di un’impresa di confrontare il proprio stipendio con quello degli altri colleghi che fanno un lavoro di pari livello, uno strumento destinato a garantire equità ed evitare discriminazioni, e  che permetta ad un candidato di conoscere la retribuzione quando legge un annuncio e va a fare un colloquio di lavoro.

La direttiva Ue,in Italia, ha fatto un certo scalpore, visto che chiedere se accetto il lavoro quando guadagno? Resta una domanda che fa arricciare il naso a tanti imprenditori.

Spessissimo, si va a fare un colloquio senza sapere qual è lo stipendio, meno di un annuncio su cinque parla di numeri e buste paga, la cosa strana è che esiste una correlazione inversa tra la chiarezza degli annunci e il salario: più il lavoro è ben pagato, più si tende a tenere nascosto lo stipendio.

Meno del 10% degli annunci in ingegneria industriale, sviluppo software, information design e ricerca, gestione di progetti e legge indica lo stipendio previsto per il posto di lavoro.

Ce lo chiede l’Europa, ma da Indeed affermano che con il costo della vita che cresce e i bassi stipendi italiani, soprattutto tra i più giovani, inizia a essere più comune confrontarsi tra colleghi sugli stipendi.

L’indagine Indeed rivela che su oltre cinquecento datori di lavoro, solo il 43% dichiara di adottare una politica di trasparenza sulle retribuzioni.

È vero che in Italia esistono i contratti collettivi nazionali, che hanno i minimi tabellari di riferimento, ma non tutti li conoscono, ma soprattutto non tutti li applicano, anzi. secondo Ocse, circa il 10% dei lavoratori dipendenti riceve una retribuzione inferiore del 20% rispetto al minimo tabellare del contratto collettivo di riferimento, per non parlare del sotto-inquadramento.

Con la carenza di manodopera, forse, essere trasparenti potrebbe aiutare, infatti, Il 71% di chi cerca lavoro dice che sarebbe più propenso a candidarsi per un’azienda trasparente sulle buste paga rispetto a una che non lo è, mentre, tra chi lavora il 60% preferirebbe che ci fosse trasparenza rispetto agli stipendi anche da parte del datore di lavoro, il 48% ha già condiviso o sarebbe disposto a condividere informazioni sul proprio stipendio con i colleghi, sale al 53% tra i lavoratori con meno di 35 anni.

La direttiva europea potrebbe risultare una novità dirompente per l’Italia, anche se non c’è nessun obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’ammontare delle retribuzioni dei dipendenti, ma solo di comunicare l’ammontare medio delle retribuzioni delle persone che svolgono mansioni comparabili, la direttiva restringe l’accesso a queste informazioni ai soli rappresentanti sindacali, ispettori del lavoro e organismi preposti alla promozione della parità di genere.

Indeed sostiene che: «Non pubblicare i salari negli annunci o non rivelarli nelle prime fasi dei colloqui spesso allunga i processi e fa perdere in efficienza, inoltre, altera il clima aziendale e il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente, pregiudicando la possibilità di trattenere i talenti.

Le aziende che si adeguano fin da ora otterranno un vantaggio competitivo e una transizione più agevole quando le normative entreranno in vigore a giugno del prossimo anno.

Diversi studi dimostrano che conoscere gli stipendi applicati in un’azienda riduce il gap retributivo di genere e motiva le persone pagate di più a lavorare meglio e quelle pagate meno a rompere il tabù dell’imbarazzo e a chiedere un aumento.

La trasparenza salariale servirà a far crescere gli stipendi in Italia? Vedremo chi vivrà, vedrà.Alfredo Magnifico

Commenti Facebook