L’Unione europea è rimasta al Novecento mentre il resto del mondo va avanti, la competitività europea si è sgretolata, le prospettive per l’immediato futuro non promettono grandi miglioramenti.
L’economia europea rimane ancorata a vecchi modelli di produzione con standard ormai superati da tutte le grandi economie del mondo, basata su; automotive, ferrovie, macchinari di precisione, con poca propensione al rischio e un’alta propensione al risparmio.
Con Trump che ritornerà alla Casa Bianca, tra poche settimane, e con l’economia europea in una fase di crisi sempre più grave, le fondamenta su cui poggia la ricchezza dell’Europa si rivela piena di crepe, e rischia di crollare.
L’economia europea si è dimostrata, particolarmente, flessibile e resistente per molti decenni, dopo la Seconda Guerra Mondiale e ancor di più dopo Guerra Fredda, grazie all’espansione verso est dell’Unione e alla forte domanda di prodotti provenienti da Asia e Stati Uniti, ma i bei tempi sono finiti e quella che si intravede all’orizzonte potrebbe essere una tempesta perfetta.
Recessioni e guerre commerciali possono andare e venire, ma ciò che rende questa congiuntura pericolosa per la prosperità del continente ha a che fare con la più grande e scomoda verità: l’Unione europea è diventata un deserto di innovazione, nonostante abbia una ricca storia di invenzioni strabilianti, tra cui innovazioni scientifiche che hanno regalato al mondo; automobile, telefono, radio e decine di prodotti farmaceutici indispensabili, ma purtroppo, oggi è diventata terribilmente decadente.
La crisi era stata evidenziata da Draghi nel suo rapporto sulla competitività , ripreso dalla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde che aveva detto: «Stiamo vivendo un periodo di rapido cambiamento tecnologico, guidato in particolare dai progressi nell’innovazione digitale e, a differenza del passato, l’Europa non è più in prima linea nel progresso e che il tanto decantato modello sociale europeo è a rischio, e la soluzione è cambiare rotta il prima possibile, altrimenti, non saremo in grado di generare la ricchezza di cui avremo bisogno per soddisfare le nostre crescenti esigenze di spesa, non saremo in grado di garantire la nostra sicurezza né combattere il cambiamento climatico e proteggere l’ambiente».
Trump minaccia di imporre nuove tariffe su tutto, e ogni volta ribadisce la richiesta agli alleati della Nato di investire di più per la difesa perché l’ombrello americano sta per chiudersi, e per le capitali europee, già in difficoltà nel contenere i crescenti deficit dovuti alla diminuzione delle entrate fiscali, significa navigare in acque sconosciute, con difficoltà finanziarie inedite che potrebbero innescare sconvolgimenti politici e sociali.
Con Trump l’Europa sarà particolarmente esposta ai capricci della politica commerciale statunitense, se dovesse davvero imporre dazi fino al 20% sulle importazioni dall’Europa, che oggi valgono circa cinquecento miliardi di euro l’anno, l’industria europea subirebbe un duro colpo, eppure, sembra aver fatto molto poco per prepararsi a questa eventualità, se l’Europa avesse una base economica più solida e fosse più competitiva a livello globale, Trump porterebbe meno incertezza.
Qualche anno fa si diceva che l’Unione europea avrebbe presto rappresentato un mercato ricco, innovativo, produttivo, in grado di competere con Stati Uniti e Cina su tutto, invece ha perso parecchio terreno rispetto a Washington dall’inizio del Ventunesimo secolo.
Il divario del Pil pro capite negli stati uniti è raddoppiato, mentre in Europa è cresciuto solo del 30%, a causa della minore crescita della produttività nell’Unione europea.
Le aziende del settore tecnologico statunitensi, spendono più del doppio di quanto spendono le aziende tecnologiche europee in ricerca e sviluppo, mentre le aziende statunitensi hanno visto un balzo del 40% nella produttività dal 2005, la produttività europea è stagnante.
Il mercato azionario statunitense è più che triplicato dal 2005, quello europeo è aumentato solo del sessanta per cento.
L’Unione europea rappresenta una quota sempre più ridotta del Pil mondiale, anche se è ancora al primo posto per quanto riguarda la generosità dei sistemi di welfare dei suoi Stati membri», ma presto gli effetti della crisi si inizieranno a sentire e molti Paesi faticheranno a mantenere i loro standard di welfare.
Se le sorti economiche dell’Europa non cambieranno, molto presto i governi dovranno prendere decisioni difficili, un po’ come accadde alla Grecia nel 2010.
Il risultato più probabile è una radicalizzazione della politica, una polarizzazione più ampia, con la corsa agli estremi dello spettro politico, a destra e a sinistra. Un fenomeno già piuttosto visibile in Francia, in Italia, in Germania, Austria. Il peggio deve ancora venire.
Alfredo Magnifico