La rivista Eco», un nuovo mensile di economia diretto da Tito Boeri: è uscita con il primo numero dedicato al lavoro ed ai salari, che in Italia sono fermi da trent’anni, ha riportato un paio di dati che meritano di essere discussi. Il primo dato affronta la variazione del salario orario reale su base annua, con i dati relativi al terzo trimestre del 2023, dei paesi dell’Ocse, che vedono l’Italia al penultimo posto, e la Svezia all’ultimo. Si tratta di due dei pochissimi paesi che non hanno ancora introdotto il salario minimo per legge, a giudicare da queste cifre, non sarebbe così inutile come dice il Cnel (“inutile” è un aggettivo che forse sarebbe stato meglio essere più cauti nell’usare.
L’argomento più interessante però, è quello affrontato nell’articolo che verifica i dati sulla sindacalizzazione in alcuni paesi in base a criteri statistici che, almeno per un profano come me, sembrano rigorosi; se in Germania, Francia e Olanda i risultati degli autori dell’articolo confermano sostanzialmente i dati ufficiali (un po’ più bassi in Germania, un po’ più alti in Olanda, senza grandi differenze in Francia), per l’Italia la differenza è clamorosa; invece di essere stabilmente superiore al 30% da un paio di decenni, il tasso di sindacalizzazione sarebbero crollato nel XXI secolo a poco più del 10%.
Guardando il dato su base regionale, il tasso di sindacalizzazione più basso riguarda due dei vertici del vecchio triangolo industriale: la Liguria sarebbe la regione meno sindacalizzata, il Piemonte appena un po’ di più, mentre il dato più alto è quello del Trentino-Alto Adige/Südtirol; dove, ho il sospetto che a tenere alto il livello ci sono le iscrizioni nel settore del turismo stagionale. In pratica, se negli anni dell’autunno caldo la locomotiva delle conquiste sindacali era il nord-ovest, metalmeccanici in testa, ora la categoria guida sarebbe … la Fisascat di Bolzano!
In attesa di altri riscontri (ma già altre ricerche, con altri criteri, avevano messo in dubbio i tassi ufficiali di sindacalizzazione italiani), si può solo osservare come fra i dati citati sembra esserci una evidente correlazione, con il secondo che spiega il primo: i salari in Italia sono fermi da trent’anni, e soprattutto non sono ripartiti negli ultimi anni, perché i sindacati sono in sostanza molto più deboli di quel che raccontano, sul piano pratico, molto forti sulle protezioni politiche e di interessi comuni da salvaguardare.
Bello domandarsi perché, pur essendo deboli, hanno rifiutato il salario minimo, salvo il tardivo ripensamento di Cgil e Uil.
Alfredo Magnifico