L’obiettivo, non troppo nascosto, di Cgil, Cisl e Uil, anche se tra loro sono ai ferri corti, è diventare gli unici interlocutori delle aziende e della pubblica amministrazione sottraendo spazio alle voci di dissenso dei sindacati minori. CGIL,CISL,UIL hanno la pretesa di relegare i sindacati autonomi a nullità ma qualcosa non quadra nel numero di tessere dei loro iscritti, soprattutto nel settore privato.
Le tre centrali sindacali sempre più di frequente parlano, spingono, pretendono, una riforma della legge sulla rappresentanza con l’obiettivo di far fuori,da qualsiasi tipo di rappresentatività e dalle negoziazioni, le organizzazioni più piccole, in barba ai principi democratici, che la politica in modo molto ampia applica a se stessa, infatti, il primo che si alza la mattina crea un partito. Reputo una “pecionata” immaginare una simile riforma senza essere certi dei numeri, esistono due pesi e due misure fra il mondo del lavoro pubblico e il mondo del lavoro privato, infatti, la certificazione delle tessere sindacali non funziona allo stesso modo per tutto il mondo del lavoro.
Nel settore pubblico, l’intero meccanismo è rodato da anni e gestito dal datore di lavoro, cioè dallo Stato, passando attraverso l’Aran, l’Agenzia di rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, che ha censito come iscritti al sindacato circa 1,3 milioni di lavoratori su 3,3 milioni di dipendenti pubblici dei comparti delle amministrazioni centrali e periferiche, sanità, istruzione e ricerca, Presidenza del Consiglio. Per i pensionati la comunicazione di adesione e di revoca al sindacato avviene attraverso una comunicazione all’Inps.
Nel privato la consistenza degli iscritti è affidata all’autocertificazione dei sindacati senza alcun tipo di controllo, ma solo con una comunicazione formale del sindacato al Ministero del lavoro, con il paradosso che, in pochi anni, i numeri delle tessere sindacali comunicate al dicastero hanno superato complessivamente quello dei lavoratori attivi. La questione non è da poco, se si pensa che si parla di circa 17 milioni di lavoratori, la stragrande maggioranza della forza lavoro del Paese.
Il sistema dell’autocertificazione alimenta non pochi dubbi, a dispetto della disponibilità di sistemi telematici che renderebbero facili le verifiche incrociate, basterebbe equiparare il meccanismo pubblico a quello privato, per essere certi dei dati, dovrebbe essere il datore di lavoro a comunicare il numero di iscritti.
Elemento discriminante fra il settore pubblico e quello privato è quello che nello Stato un lavoratore può iscriversi ad un sindacato anche se non firmatario del contratto nazionale della sua categoria, mentre, nel settore privato non sarebbe possibile ma diventa possibile con la forza o con il magistrato, il che, penalizza le organizzazioni più piccole. I lavoratori devono essere liberi di iscriversi ad un sindacato, indipendentemente dal fatto che quella organizzazione abbia o meno sottoscritto il contratto adottato nell’impresa, in questo modo ci sarebbe una rappresentazione più veritiera dell’appartenenza e del numero di tessere dei sindacati,in questo modo,nel privato sono messe alla porta le voci di dissenso, così si violenta la democrazia nei luoghi di lavoro, e si ammazza la trasparenza.
Dal 1995 ad oggi, i diritti sindacali, (assemblea retribuita, bacheca sindacale, permessi sindacali, trattenute sindacale agli iscritti, ecc.) sono stati riservati a coloro che firmano i contratti e/o le intese applicate dai datori di lavoro al personale in forza. Il legislatore, in questo frangente ha fatto la parte dell’ asino, trascinato e attaccato dove vuole il padrone, dove da padrone l’ha fatto il sindacato con le continue minacce di sciopero.
Il legislatore, sotto schiaffo, si è rifiutato di varare norme che estendesse il diritto di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro dopo il referendum del 95 in cui venne abrogato parzialmente l’art.19 dello Statuto dei Lavoratori. In forza della norma abrogata dal referendum, i sindacati che non condividevano gli accordi stipulati, non avevano diritto di esistere ed esercitare il loro intervento nei luoghi di lavoro, così è stato fino al 2013 in cui è intervenuta la Corte Costituzionale, ma il legislatore continua ad ignorare il buco normativo e la situazione non è cambiata sostanzialmente, favorendo i monopoli sindacali.
Cgil, Cisl e Uil restano i principali firmatari dei contratti: il 96,5% dei lavoratori del settore privato è coperto da un Ccnl siglato da CGIL-CISL-UIL, anche se continuano a sbraitare che la colpa è di quel 3,5% di contratti non firmati da loro.
Spesso e volentieri i sindacati minori sono esclusi dai tavoli di negoziazione dagli stessi datori di lavoro sulla base proprio della scarsa rappresentanza definita sulla base delle tessere in autodichiarazione.Una riforma del genere scardinerebbe l’attuale sistema di potere dei maggiori sindacati del Paese, che talvolta incide persino sulla gestione del personale e sulle assunzioni, con interferenze nelle nomine delle direzioni e ingerenze su trasferimenti e avanzamenti di carriera.
Alfredo Magnifico