Lavoro e salario: La guerra dei numeri sui poveri

Nel dodicesimo rapporto annuale dell’Inps, i lavoratori poveri, (working poor) si sono ristretti dai 4,3 milioni del 2022 a 20.300 del 2023, ed ha chiarito che quelli che lavorano a tempo pieno e che sono poveri «per ragioni salariali», perché guadagnano poco, sono solo 20.300, lo 0,2 per cento dei dipendenti italiani.

Il rapporto 2022 ne aveva calcolati 4,3 milioni sotto i 9 euro l’ora, la soglia indicata per il salario minimo.

La differenza nei numeri ha generato polemiche e accuse di «stortura dei dati» per compiacere il governo di turno,infatti il rapporto 2022 era stato stilato da Pasquale Tridico, sostenitore del salario minimo ,il rapporto 2023 da Micaela Gelera  espressione di un governo che il salario minimo non lo vuole.

I lavoratori poveri non sono scomparsi, ma vengono conteggiati solo i lavoratori a tempo pieno, fino all’anno scorso l’Inps li considerava tutti, anche i part-time, i tempi determinati, stagionali, agricoli e domestici, solo per questo i poveri ora risultano molti di meno.

Secondo l’Inps, i “lavoratori poveri” sono quelli con una soglia di retribuzione giornaliera lorda sotto i 24,9 euro per i part-time e 48,3 euro per i full time e non usa come soglia quella dei 9 euro l’ora, si riferisce allo standard europeo del 60% della retribuzione mediana, che corrisponde a circa 7,5 euro l’ora.

Nel mese di ottobre 2022, i lavoratori poveri sotto queste soglia sono stati 871.800, il 6,3% del totale, di questi, 355 mila sono a tempo pieno e 517 mila a part-time.

Il ragionamento dell’Inps è che se da questo insieme si tolgono quelli che lavorano poche ore o pochi giorni – a «bassa intensità di lavoro» – si arriva ai 20.300.

Troppo pochi perché il salario minimo abbia un impatto rilevante, il problema per l’INPS non sono i salari, ma i contrattini, le false partite Iva, i finti tirocini,gli stage, oltre che il lavoro nero,aree  che l’Inps definisce come «aree borderline» rispetto ai contratti da dipendente, i settori più a rischio: edilizia, servizi alle imprese, alloggio e ristorazione, apprendisti, intermittenti e somministrati le figure più in pericolo.

La lettura che l’Inps da, di fatto, rende inutile la proposta di salario minimo a 9 euro l’ora arrivata dalle opposizioni.

L’Istat, nell’audizione sul salario minimo dello scorso luglio, ha spiegato che i rapporti con retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi sono quasi un quinto del totale (il 18,2%, circa 3,6 milioni di rapporti) e coinvolgono circa 3 milioni di lavoratori, per l’Inps a determinare la condizione di dipendente a bassa retribuzione sono gli effetti legati a una ridotta durata dei contratti di lavoro e a un numero contenuto di ore lavorabili, oltre a quelli legati a un basso livello di retribuzione oraria.

Secondo una commissione presieduta dall’economista Andrea Garnero, i lavoratori poveri sono il 13,2%, quelli a bassa retribuzione il 31%, anche in questo caso, i numeri sono più alti perché si considerano tutti i lavoratori, non solo quelli a tempo pieno, anche in questo caso, si tiene conto dello standard del 60% della soglia mediana e non dei 9 euro l’ora, ovvio che se si guarda solo a chi lavora a tempo pieno i working poor sono di meno, ma il part time e i contratti a tempo in Italia sono elevati, soprattutto in alcuni settori come il turismo o la ristorazione.

Il lavoro povero dipende sia dai bassi salari sia dalle poche ore di lavoro, guardare solo ai salari orari è come guardare solo una piccola parte della fotografia.

La commissaria Gelera nel rapporto dice che quei 20mila lavoratori poveri per «ragioni salariali» sono «distribuiti tra un numero rilevante di contratti collettivi nazionali di lavoro, inclusi quelli con le platee più vaste e firmati dalle organizzazioni sindacali maggiori quindi non è solo un problema di contratti pirata, che per l’Istituto, non rappresentano un allarme.

I contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti sono 966, quelli applicati ad almeno un dipendente, sono 832, i 28 contratti più grandi, riguardano almeno centomila persone e coprono quasi l’ottanta per cento dei dipendenti, i contratti medi, riguardano tra diecimila e centomila lavoratori, si arriva a oltre il novantacinque per cento dei dipendenti totali.

99 contratti coinvolgono la quasi la totalità dei dipendenti, i contratti micro riguardano solo lo 0,4 per cento dei dipendenti, cioè meno di cinquecentomila persone, oltre il novantasei per cento risulta coperto da un contratto firmato da una delle tre maggiori organizzazioni sindacali, ovvero Cgil, Cisl e Uil.

Alfredo Magnifico

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