I lavoratori che collezionano contratti di mesi, giorni o settimane da oltre cinque anni, secondo il rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile (Bes) sono passati dal 17% del 2022 al 18,1% 2023 il numero cresce, soprattutto, tra i più istruiti. Il mercato del lavoro vive di contraddizioni; più posti fissi, più precari di lunga durata, due popolazioni che convivono tra loro, i contratti a tempo indeterminato crescono, ma ci sono numerosi lavoratori che collezionano contratti di mesi, giorni o settimane da oltre cinque anni, chiamati “precari storici”, in aumento tra i lavoratori più qualificati. A febbraio 2024, i posti fissi hanno sfiorato il record di sedici milioni, in crescita dalla fine della pandemia, mentre gli occupati a termine sono scesi a 2,8 milioni,allo stesso tempo, continuano a calare gli autonomi, bacino in cui, oltre a imprenditori, professionisti e artigiani, si annidano da le false partite Iva, una forma di precariato con lettere d’incarico che scimmiottano i contratti senza garantire alcuna tutela.
Il Rapporto Bes riporta che nel 2023 i dipendenti a termine si sono ridotti del 2,4% per cento, mentre; aumentano i collaboratori, crescono i contratti stabili e le trasformazioni da contratti a termine a indeterminato, la quota di lavoratori a scadenza, che lo sono da almeno cinque anni è passata dal 17% del 2022 al 18,1% del 2023, (dati Istat), gli occupati continuano a svolgere lo stesso lavoro, ma con un susseguirsi di contratti a termine, sperimentano situazioni di precarietà lavorativa prolungata, rispetto alle quali non si ravvisano segnali di miglioramento. Neanche il titolo di studio più alto, laurea o master che sia, salva dal vortice della precarietà, la quota dei lavoratori a termine da oltre cinque anni aumenta di più tra i laureati (+2,4%) rispetto a chi ha il diploma (+1,3), per chi ha la licenza media l’incremento è lievissimo (+0,4).
Gli incrementi più consistenti di occupati a termine da almeno cinque anni si registrano tra gli operai (+2,5 punti) e i lavoratori più qualificati (+2,2 per cento), mentre i precari di lunga durata nel 2023 sono aumentati più tra i lavoratori italiani (1,2%), tra cui è più alta la percentuale di laureati, rispetto ai lavoratori di origine straniera (+0,7%), tra i meno qualificati. La stagnazione dei contratti a termine porta;una lunga lista di fattori disfunzionali del mercato del lavoro; una alta percentuale di lavoratori sovra istruiti con un titolo di studio superiore a quanto richiesto per svolgere la professione esercitata, arriva al 38,7 % nel lavoro a termine, con picchi del 46,8% nella pubblica amministrazione.
Il part-time involontario diminuisce, ma non quando è a termine: a fronte di un calo tra i dipendenti a tempo indeterminato e tra gli autonomi, non si registra alcuna riduzione tra i dipendenti a termine, dove il fenomeno resta molto diffuso (22,9%). Chi aveva annunciato di aver «abolito il precariato», deve ricredersi. Nonostante sia il contratto a tempo indeterminato a trainare la crescita occupazionale, resta questo ampio bacino di lavoro molto debole che si trascina negli anni, soprattutto tra i lavoratori più istruiti, intrappolati in una spirale di contratti di lavoro di bassa qualità che si rinnovano a singhiozzo, con forti ricadute sui salari.
Secondo il rapporto Istat del 2022, solo il 40% dei dipendenti a termine ha percepito un reddito da lavoro in modo continuativo tra il 2015 e il 2021, risultato: i lavoratori con contratto a tempo determinato percepiscono uno stipendio annuale inferiore del 30% rispetto ai colleghi a tempo indeterminato. Con l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, avere «il posto fisso» non significa essere blindati dal licenziamento, ormai, non si fa più lo stesso lavoro per tutta la vita e la durata media dei contratti a tempo indeterminato è inferiore ai quattro anni.
Il punto, come in passato, è che il contratto a tempo indeterminato e la busta paga servono per ottenere un mutuo, comprare una casa o anche solo uno scooter a rate, mentre nei famosi anni sessanta,anni del Boom economico fu possibile, oggi non lo è più e allora l’economia ristagna, i giovani non si sposano, e tra un pò non avremo ricambi generazionali.
Alfredo Magnifico