Mio Nonno ripeteva: spesso:” passata la festa gabbato lo santo” per festeggiare la donna; fiori, mimose, scatole di cioccolatini, e magari tanti discorsi di esaltazione del ruolo della donna ma……la realtà è molto meno esaltante di quella che tra sorrisi e fiori vuole apparire.
A dare la sveglia sulla discriminazione della donna ci pensa il rapporto Istat-Cnel, che con crudezza rileva che dal 2008 al 2024, il tasso di occupazione delle donne è cresciuto di 6,4 punti, spinto soprattutto dalle ultracinquantenni che registrano un aumento di 20 punti nel periodo, contro 1,4 punti della fascia 25-34 anni.
Lo studio evidenzia la “segregazione di genere“, mestieri solo per uomini e altri solo per donne.
L’occupazione delle donne cresce, ma l’Italia resta fanalino di coda: 53% contro una media UE del 69,3%.
Guadagnano il 20% in meno rispetto agli uomini.
La differenza con gli uomini, il cosiddetto gender gap, riguarda tra le altre cose il tipo di professioni e di mestieri che per le donne restano in prevalenza quelle delle cura della casa, delle persone, l’insegnamento.
Il rapporto messo a punto da Istat e Cnel, in maniera molto cruda, parla, in proposito di SEGREGAZIONE DI GENERE: quando certe professioni o mestieri restano in tutto o in parte appannaggio di un solo sesso.
Se prendiamo le cosiddette professioni STEM – cioè in ambito scientifico, tecnologico, matematico – solo un quinto (il 19,1%) sono donne.
Il cosiddetto soffitto di cristallo non si è ancora rotto nemmeno per quanto riguarda le posizioni apicali, da un lato vediamo crescere in Italia una presenza di donne imprenditrici, circa 1,5 milioni su 5 milioni di imprenditori in aumento dell’1,2% tra il 2015 e il 2022, solo il 2,9% degli amministratori delegati delle grandi società quotate sono donne a fronte di una media Ue del 7,8%.
Negli ultimi anni a crescere, però, sono anche le dimissioni delle donne dopo la maternità, raddoppiate nell’ultimo quinquennio. Ancora troppo difficile conciliare l’impiego con la cura della famiglia senza strumenti adeguati; scuole, asili, o il congedo paritario.
Nei Paesi dell’Ocse i divari tra i sessi generano una perdita media di reddito del 15%, mentre la parità si associa a più alti livelli di sviluppo.
Da una minore disuguaglianza di genere risulta un reddito pro capite più elevato.
Il CNEL sostiene che: «La parità di genere nei diritti e nelle opportunità si associa a livelli più alti di sviluppo economico, migliora la mobilità sociale, promuove l’inclusione, stimola la crescita attraverso un migliore utilizzo delle competenze e una migliore allocazione della forza lavoro».
Secondo l’Ocse, inoltre, l’eliminazione del gender gap sul piano occupazionale potrebbe aumentare il Pil di circa il 10% entro circa due decenni.
Se a una donna viene impedito di acquisire e utilizzare risorse economiche, oppure di trovarsi un lavoro o di intraprendere un percorso di studi, questa è violenza economica.
Secondo una stima, non di certo consolante, serviranno ancora 176 anni per vedere la parità di genere nei luoghi dirigenziali.
Alfredo Magnifico