La sentenza n.11430/2021, emessa qualche giorno fa dalla suprema corte di cassazione,è l’ennesima tortorata sulle spalle dei lavoratori meno garantiti, infatti ha stabilito che il lavoratore resta responsabile per i contributi non versati all’Inps da parte del datore di lavoro, di conseguenza non ha diritto agli ammortizzatori sociali nel caso in cui la sua posizione risulti irregolare nei registri dell’ente previdenziale, pertanto vengono equiparati ai lavoratori autonomo, dovranno quindi versare di tasca propria i mancati pagamenti salvo poi rifarsi sul datore di lavoro con tutte le incertezze del caso.
Se i versamenti non sono regolari si perde il diritto agli ammortizzatori sociali. La mia povera nonna avrebbe detto Cornuti e mazziati questa è una “Sentenza assurda”, nel problema sono coinvolti anche i precari degli enti pubblici.
Ci mancava solo la responsabilità per i contributi non versati dal datore di lavoro, non bastavano precarietà, compensi ridotti al minimo e il tempo determinato rinnovato di anno in anno con selezioni ad hoc.
La cassazione prevede che deve pagare i contributi di tasca propria e poi eventualmente rivalersi con un’azione di risarcimento sul datore di lavoro. Una vera mazzata se si considera che quando un’azienda va in crisi i primi ritardi nei pagamenti sono per fornitori e oneri previdenziali e assistenziali. Per non parlare del fatto che, a causa della pandemia, solo nel 2020, Confcommercio stima siano scomparse oltre 300mila imprese, con buona pace dei contributi dovuti ma non tutti versati per i dipendenti.
La sentenza della Cassazione è assurda, poichè Inquadra il co.co.co come un lavoratore autonomo, mentre è evidente che non lo è, seguendo questo filo logico, bisognerebbe accusare il datore di lavoro di appropriazione indebita con tanto di conseguenze penali, invece, si arriva al paradosso che la vittima del reato non solo deve pagare per le condotte penalmente rilevanti e poi procedere ad un’azione per recuperare il maltolto”, situazione complicata che diviene ancora più preoccupante anche per le casse pubbliche dal momento che, nel post-Covid i fallimenti si moltiplicano.
Il 90% delle procedure è incapiente. Per non parlare dei tempi biblici (fra i sette e gli otto anni, ndr) per arrivare alla chiusura dei fallimenti” . Uno scenario che vede intere generazioni diventare sempre più precarie senza peraltro garantire la tenuta del sistema previdenziale. Con le casse dell’Inps (e non solo visto che esistono anche le casse private e privatizzate) sempre più vuote
Alfredo Magnifico