L’austerità la pagano solo i lavoratori

Lo diceva mio Nonno per far quadrare i conti ci sono due strade: o tagli la spesa o aumenti le entrate, lo ripete Giorgetti scatenando l’opposizione dei partiti di Governo, ma alla fine il Governo deciderà di tagliare la spesa, presentando un Piano strutturale di bilancio che assume nei fatti le politiche di austerità imposte dal Patto di stabilità europeo, che per i prossimi sette anni prevede tagli ogni anno per 13 miliardi e il vincolo che la spesa pubblica non possa crescere più dell’1,5% ogni anno.

Al di là della Manfrina, tagliare la spesa vuol dire tagliare la sanità, la scuola, i salari e il sistema delle pensioni, settori in cui invece bisogna investire anche con un piano straordinario di assunzioni, superando la precarietà.

La crisi del modello industriale europeo e i ritardi che si sono accumulati sono il frutto dei tagli che ci sono stati sullo stato sociale, dei mancati investimenti, dell’aumento della precarietà con conseguente riduzione dei salari.

Il Governo sostiene che vogliono far fare sacrifici a tutti, ma guai a toccare i ricchi, intanto però i sacrifici li hanno fatti i lavoratori dipendenti e i pensionati, le donne e i giovani precari, tanto che molti di questi sono stati costretti ad andare a lavorare all’estero, a pagare sono sempre i più deboli.

Servirebbe una vera riforma fiscale, visto che l’evasione nel nostro Paese vale circa 100 miliardi di euro e che la tassazione su lavoro dipendente e pensioni è più alta di quella sul lavoro autonomo, sulla rendita finanziaria e sugli immobili.

Questa è un’ingiustizia non più accettabile, perché il fisco dovrebbe essere un elemento di patto sociale, ma, si fanno condoni, marchette elettorali e flat tax, che sono l’esatto contrario della giustizia sociale.

Occorre fare più investimenti sulla sanità pubblica per  fare le assunzioni, per ridurre le liste d’attesa e per rafforzare la sanità sul territorio, gli investimenti servono anche per fare quelle scelte di politica industriale ed economica di cui abbiamo bisogno, perché c’è una crisi evidente del sistema manifatturiero industriale del nostro Paese.

Dopo anni di pesante inflazione, il mancato rinnovo dei contratti nazionali, che anche il governo, come datore di lavoro, non sta facendo, a partire dai contratti pubblici scaduti  da tre anni, il governo propone aumenti del 5,7%, mentre l’inflazione è stata del 17%,non parliamo del privato con contratti scaduti anche da dieci anni e non si vede la strada del rinnovo, con il risultato che siamo di fronte a una emergenza salariale che non viene affrontata.

Il governo si avvia ad allargare la precarietà, dopo aver liberalizzato i contratti a termine, stanno liberalizzando il lavoro somministrato e quello stagionale, si sono inventati che chi fa il part-time, anziché portarlo al tempo pieno, può attivare una partita Iva, sono provvedimenti che allargano la precarietà come in nessun altro Paese europeo.

Sono 18 mesi che la produzione industriale cala, sta risalendo il numero dei cassa integrati, ci sono settori strategici come quello dell’auto che sono a rischio di esistenza in Italia.

Occorre cambiare le politiche industriali, economiche e sociali, perché mettendo in discussione l’occupazione regredisce la qualità della vita e lo sviluppo democratico del Paese.

Con il decreto sicurezza, sono state emanate norme che; vanno contro la Costituzione che sancisce il diritto di esprimere le proprie idee e il diritto di manifestare in forma non violenta, che “appartengono a una logica autoritaria pericolosissima, che non serve al nostro Paese e che ci riporta indietro di anni.

Sulla base di questo nuovo decreto, esperienze del passato di vertenze chiuse positivamente, frutto di lotte, non sarebbero state possibili, poiché dopo il primo presidio o il primo blocco stradale sarebbero finiti tutti in galera, mentre grazie alla lotta i posti di lavoro sono stati salvati.

Alfredo Magnifico

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