Dopo un anno di isolamento a causa della pandemia ci accorgiamo che il mondo è cambiato, il cambiamento riguarda l’intero assetto sociale e in un Paese come il nostro, il cambiamento è ben visibile.
Lo smart working,o tele lavoro, è l’epicentro di questa rivoluzione, allo stesso modo di come nell’800, il processo di industrializzazione e il nascente sistema di fabbrica spostarono il lavoro dalla campagna alla città, oggi lo smart working sta spostando il lavoro dalla città alla periferia.
La pandemia ha accelerato il ricorso al lavoro da remoto perché, il necessario distanziamento sociale non consentiva alternativa alcuna, così, in tutte le imprese, si è praticato il lavoro a distanza.
Il lavoro agile non è lavoro a distanza., o meglio, non è solo lavoro a distanza, il lavoro agile è, essenzialmente, lo strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, come da anni vediamo nelle economie più avanzate della nostra (Stati Uniti, Inghilterra, e Germania), tant’è che questa sua applicazione forzata, fa dire a molti, non a torto, che quello che stiamo praticando non è lavoro agile ,ma una nuova modalità lavorativa che chiede un salto di qualità nel management e nelle relazioni di lavoro (non solo nelle relazioni sindacali).
Il digitale oggi favorisce la datificazione della perfomance lavorativa per cui i manager hanno molti indicatori per verificare il lavoro dei loro sottoposti, si tratta di comprendere e di mettere in atto nuovi modelli di governance fondati su; capacità di condividere obiettivi, responsabilità delle persone, crescente autonomia e, soprattutto, fiducia.
Nei contratti flessibilità e integrazione tra vita privata e lavorativa stanno diventando cardine della nuova organizzazione del lavoro: il personale di sede potrà gestire i propri tempi, senza obbligo di timbratura, lavorerà da casa e si recherà in ufficio per esigenze di servizio e per condividere momenti di interazione con i colleghi anche in base alla pianificazione condivisa con il proprio responsabile.
I rapporti relazionali sono fondamentali, non si deve perdere di vista il bisogno che le persone hanno, anche sul lavoro, di confrontarsi, se proviamo a considerare quelli che possono essere gli effetti di questa grande trasformazione, possiamo dire che: 1) il rapporto di lavoro agile concilia tempi di vita e di lavoro, aggiunge flessibilità all’interno delle organizzazioni, in particolare i manager che hanno agende molto indipendenti dal luogo di lavoro, sono facilitati nel contatto tra loro attraverso il supporto della tecnologia digitale per le loro comunicazioni 2) si riduce la mobilità, quindi, l’inquinamento, fattore che faremmo bene a rendere sempre più centrale nell’agenda politica e nel nostro rapporto di cittadinanza; 3) le persone comprendono l’opportunità di migliorare la propria “qualità di vita” e cercano la periferia, elemento riscontrabile anche dall’andamento del mercato immobiliare.
Il distanziamento sociale progressivamente si ridurrà, il cambiamento è irreversibile, le città si decongestioneranno e si svuoteranno, occorre uno sforzo significativo di nuova progettualità da parte degli amministratori e di ripensamento da parte di chi oggi vede ridursi la propria attività.
I piccoli borghi si ripopoleranno e offriranno possibilità di nuovi servizi, liberando una nuova socialità, infatti da sempre sono luogo di più vivace vita comunitaria, elemento questo che può rivelarsi decisivo per la crescita economica.
Il lavoro agile può essere vettore di cambiamento e di crescita, soprattutto per l’occupazione femminile e giovanile.
La vera domanda è: ci voleva la pandemia per capire che era ora di ripensare la nostra organizzazione lavorativa e sociale, di recuperare socialità relazionale?
Alfredo Magnifico