Il mercato del lavoro italiano ha fatto registrare una battuta d’arresto ma i numeri, in teoria, restano da record, anche se i record recenti spesso destano perplessità.
L’occupazione sembra crescere, anche se l’Istat considera chi lavora anche “una sola ora a settimana”, non solo, “aumentano gli occupati, ma sono lavoratori poveri”.
L’Istat ha certificato che il PIL è rimasto stazionario tra il terzo e il secondo trimestre di quest’anno, in contrasto con i record dell’occupazione, quindi è comprensibile che sorga qualche dubbio, gli indicatori del mercato del lavoro non fanno pensare che all’aumento di occupati corrisponda un peggioramento delle condizioni di lavoro.
Eurostat certifica che la percentuale di lavoratori poveri lo scorso anno è scesa sotto il 10% dopo 13 anni, rispetto a fine 2019, prima della pandemia, la crescita occupazionale è stata trainata più dai servizi e dalle costruzioni che dalla manifattura.
Oggi ai primi posti per aumento di occupati ci sono le attività immobiliari, le attività professionali, scientifiche e tecniche e i servizi di informazione e comunicazione, settori a medio-alto valore aggiunto, non i settori in cui si annida il lavoro povero come la ristorazione, il commercio o i trasporti.
I lavoratori a tempo pieno aumentano più dei part-time, i contratti a tempo indeterminato aumentano e le ore di cassa integrazione diminuiscono.
Il disallineamento tra Pil e occupati si può attribuire alla forte crescita del Pil, nel 2021 e 2022,o al recupero dell’occupazione dopo il forte balzo del Pil post pandemia, legato a una, possibile, parziale sottostima del Pil in tempo reale.
Assistiamo a una continua tiritera tra maggioranza e opposizione sull’interpretazione dei dati Istat per avere conferma che l’uno ha ragione e l’altro ha torto.
I record di questi mesi sono il punto di arrivo di una tendenza che è iniziata a fine 2013 e che, fatto salvo il crollo nei mesi di chiusura per il Covid-19 e la fortissima ripresa che ne è seguita, continua ancora oggi.
Il risultato deriva da fenomeni più strutturali e globali che non hanno molto a che fare con decreti e norme, anzi, paragonandoci agli altri paesi dell’Unione europea, siamo i peggiori, la Grecia fa meglio dell’Italia, se consideriamo la Calabria e la Campania sono le regioni con il tasso di occupazione più basso d’Europa, mentre la regione dove il tasso di occupazione è più elevato è in Polonia, dove una ventina di anni fa la disoccupazione era del 20%,la dimostrazione che gli altri sono andati avanti mentre l’Italia pur crescendo è rimasta indietro.
I salari negli ultimi trimestri sono cresciuti grazie al rinnovo di diversi contratti collettivi ma è una contrattazione che continua a non raggiungere la maggioranza dei lavoratori.
La quota di dipendenti con un CCNL in attesa di rinnovo supera il 50% nel terzo trimestre 2024, inoltre, la Banca d’Italia nel suo ultimo bollettino economico attesta che non c’è un solo contratto collettivo che abbia recuperato le perdite, in termini reali, dal picco dell’inflazione.
Il dibattito può guardare un lato solo della medaglia tener conto dei record recenti o dei ritardi decennali, sottolineare i miglioramenti o enfatizzare le criticità, dire che il Paese sprofonda o che non è condannato al declino e che le cose possono cambiare, anche per questo la strada è lunga e viviamo in una perenne campagna elettorale dove non si capisce chi governa e chi fa opposizione.
Alfredo Magnifico