La grande Bufala; la riforma Renzi sul Job act  “ha creato 1 milione di posti di lavoro”? NO. Cosa cambia se vince il Sì al referendum

La Corte costituzionale ha ammesso il referendum per abrogare il cuore del Jobs Act, la riforma del lavoro del 2015 è tornata in cima all’agenda del dibattito politico, io con poco successo cercai di smontarla, alla Leopolda invitato dall’allora onorevole Laura Venittelli, le mie critiche valsero a poco come immagino valgano poco anche oggi, ma, considero la Libertà di Pensiero superiore alla Summa Teologica di San Tommaso d’Acquino.   

Gran parte dei decreti legislativi del Job act sono  stati già smontati dalla Cassazione, anche se resta intatta la norma che; in caso di licenziamento illegittimo non si prevede il diritto del lavoratore a essere reintegrato ma solo l’indennizzo.

Se si raggiunge il quorum al referendum, e passa il Sì, si torna alla riforma Fornero.

Troppi tifosi dell’ex presidente del consiglio Renzi  hanno enfatizzato il “Jobs Act”, con il milione di posti di lavoro, per i quali più della metà di questi rapporti sarebbero “a tempo indeterminato”.  

Oggi dopo tanto penare con un mondo del lavoro alla deriva,mi piace profetizzare quel che potrebbe accadere in caso di Vittoria dei Si e anche cosa dicono effettivamente i dati.

I dati Istat dicono che: tra il 2015, anno di approvazione del Jobs Act, e il 2018, gli occupati dipendenti in Italia sono aumentati di poco più di un milione, grazie a una fase economica favorevole per la fine della recessione e le politiche monetarie espansive della Banca centrale europea, non di certo per merito di una riforma che ha ridotto le tutele in caso di licenziamento illegittimo.

L’incremento di occupati era in atto già da un anno prima della sua approvazione; il 65% di quell’ aumento è passato per contratti precari, mentre quelli a tempo indeterminato erano solo il 35% molto meno della metà.

A settembre 2018 la Corte costituzionale ha smontato il contratto a tutele crescenti, principale creatura del Jobs Act, ed ha dichiarato incostituzionale il sistema previsto dal governo Renzi per quantificare in modo automatico i risarcimenti in caso di licenziamento ingiusto, tutela ritenuta troppo debole per i lavoratori.

La Corte cassazione ha previsto che il giudice debba tenere in considerazione vari fattori nel determinare l’indennizzo al lavoratore licenziato, non solo l’anzianità presso l’azienda.

A novembre 2018 entrò in vigore il decreto dignità, voluto dal Movimento Cinque Stelle con il governo Conte I, che aumentò le indennità previste per i lavoratori licenziati e rese più stringenti i vincoli per i contratti a tempo determinato. ⁠

Il Jobs Act non ha subito solo una serie di sonore bocciature dalla Corte costituzionale ma, in un caso,anche, dal Comitato europeo per i diritti sociali.

Le “tutele” previste per i lavoratori sono state giudicate troppo deboli e sproporzionate a favore delle imprese, le norme sono state bocciate in quanto mal scritte, pasticciate e incoerenti, ma  nonostante le sentenze, resta intatta la norma che in caso di licenziamento illegittimo, sia esso disciplinare o economico, non prevede il diritto del lavoratore a essere reintegrato ma solo l’indennizzo.

La riforma ha mantenuto la tutela della reintegra solo nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o completamente pretestuoso, cioè quando la giusta causa è del tutto inventata dall’azienda.

Le sentenze della Corte costituzionale hanno agito solo sul metodo per quantificare i risarcimenti ma non hanno reintrodotto il diritto ad essere reintegrati, tranne casi particolari (ad es. estendendo il diritto in tutti i casi di nullità e non solo in quelli “espressamente previsti dalla legge”).

Con il Referendum se dovesse vincere il Sì sarebbe abrogato l’intero decreto legislativo che ha abolito l’articolo 18 per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, con un duplice effetto;

·        sul piano politico, il governo non potrebbe che prendere atto della volontà popolare di tornare al diritto alla reintegrazione per chi viene ingiustamente licenziato

·        sul piano tecnico l’effetto immediato sarebbe complesso, perché si tornerebbe alla disciplina precedente al Jobs Act, che con la riforma Fornero aveva già comunque ridotto il diritto alla reintegrazione in diversi casi di licenziamento, tant’è che in questi anni nei Tribunali abbiamo assistito a una complessa opera di interpretazione delle norme.

Sui licenziamenti collettivi il Jobs Act non prevede mai diritto alla reintegra, a differenza della Fornero che la prevede in alcune fattispecie, mentre, sui licenziamenti individuali, il confine tra Fornero e Jobs Act si è rivelato più complicato, considerando che la riforma del governo Monti è ancora applicata a  tutti gli assunti prima del 7 marzo 2015.

Ci sono altri quesiti,

·        le tutele per i licenziamenti ingiusti nelle piccole aziende; in quelle con meno di 15 dipendenti, oggi è prevista l’alternativa tra la riassunzione e l’indennizzo tra una e sei mensilità, che può essere aumentato a seconda dell’anzianità del lavoratore.

·        sui contratti a tempo determinato: oggi non è previsto l’obbligo di causale per i rapporti di durata inferiore ai dodici mesi; il referendum propone di abrogare questa norma e quindi obbligare sempre la causale.

·        sul mondo degli appalti, propone di cancellare la norma che esenta l’azienda committente dalla responsabilità per gli infortuni che avvengono nelle aziende appaltatrici quando l’evento che ha scatenato l’incidente è conseguenza del “rischio specifico” dell’attività della stessa azienda appaltatrice mentre in pratica, si vorrebbe che la responsabilità dell’impresa committente sia prevista sempre.

Dubito del raggiungimento del quorum, poichè suonerebbe come un durissimo colpo all’attuale maggioranza di Governo e ai poteri economici forti, staremo a vedere, intanto godo nel veder gioire per questo referendum chi allora gioì per l’introduzione di una legge Iniqua che ha distrutto i diritti dei lavoratori.

Alfredo Magnifico

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