Recentissimi dati Istat segnalano un’inversione di tendenza, la delocalizzazione non è più indispensabile, infatti, nel periodo 2015-2017, circa 700 imprese, il 3,3% delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno trasferito all’estero attività o funzioni aziendali precedentemente svolte in Italia, percentuale nettamente inferiore a quella registrata nella precedente indagine, riferita al periodo 2001-2006, quando era pari al 13,4%, il ridimensionamento del fenomeno è a livello europeo.
Delocalizza all’estero il 5,6,% delle grandi imprese contro il 2,9% delle medie e il 4,6% delle imprese appartenenti a gruppi contro lo 0,6% delle imprese indipendenti, il 69,3% ha trasferito attività o funzioni di supporto dell’attività principale, il 43,4% l’attività principale, le funzioni più rilevanti trasferite sono i servizi amministrativi, contabili e gestionali (37,4%), il marketing, le vendite e i servizi post-vendita, inclusi i centri assistenza e i call center (21,2%) e i servizi informatici e di telecomunicazione (10,2%).
Il 59,6% dei trasferimenti si indirizza verso paesi Ue a 28 e riguarda funzioni di supporto all’attività principale, mentre nell’ambito dei paesi extra-europei, quote significative di trasferimenti sono orientate verso India (8,7%), Stati Uniti, Canada (5,7%) e Cina (5,6%).
La riduzione dei costi incide in modo significativo nelle scelte delle imprese industriali per il trasferimento all’estero; dalla riduzione del costo del lavoro (fattore considerato “abbastanza importante” o “molto importante” dal 62,2% delle imprese), la riduzione di altri costi d’impresa (48,8%) e la necessità di concentrare in Italia le attività strategiche di “core business” (40,2%).
Il 30% delle imprese internazionalizzate affrontano ostacoli importanti che riguardano la difficoltà a trasferire personale all’estero, ostacoli legali o amministrativi (29,7%) e la necessità di operare a stretto contatto con i clienti (29,2%).
Oltre 1.000 imprese (il 5% di grandi e medie aziende industriali e dei servizi) hanno trasferito in Italia attività o funzioni aziendali precedentemente svolte all’interno dell’impresa, anche in questo caso, come per l’internazionalizzazione, sono maggiormente le grandi imprese (7,4%) e le imprese appartenenti a gruppi (5,8%) a trasferire attività al di fuori dell’impresa stessa. Nell’industria, il 55,4% delle imprese dichiara di aver delocalizzato l’attività principale e il 64,5% le attività di supporto; percentuali che sono rispettivamente pari a 35,7% e 97,3% nei servizi.
Lo 0,9% delle imprese ha dichiarato di aver trasferito in Italia, nel triennio 2015-2017, attività, precedentemente, svolte all’estero, ostacolo al trasferimento in Italia;la riduzione della pressione fiscale (l’84,5% delle imprese), politiche per il mercato del lavoro (79%), politiche di offerta localizzativa (75,5%) e incentivi per l’innovazione, Ricerca e Sviluppo (70,9%) e per le imprese industriali i finanziamenti per l’acquisto in macchinari (76,9%).
Alfredo Magnifico