Per l’attuazione della politica green allo studio del Governo è previsto un importante sacrificio non solo economico, ma soprattutto ambientale e culturale a carico nostro e delle future generazioni: raggiungere entro il 2030 una produzione di ben 70 miliardi di Watt, triplicando in 9 anni la potenza installata di eolico e fotovoltaico agrario, significherebbe tappezzare 5.000 km di crinali appenninici con altissime macchine eoliche (le macchine di nuova generazione misurano 260 mt. di altezza, pari ad un grattacielo di 80 piani) e ricoprire con estesi impianti solari oltre 200.000 ettari di terreni sottraendoli alla agricoltura.
Un piano che, a detta di eminenti economisti, si rivela assolutamente privo di una coerente progettazione e comunque irrealizzabile nei tempi previsti e che omette di considerare un importante dato di fatto: le emissioni di gas serra prodotte dall’Italia sono nell’ordine di un insignificante o,8% (contro, ad esempio, il 28% della Cina e il 15% degli Stati Uniti, il 7% dell’India). Riducendole del 55% entro il 2030, come indicato nel Piano strategico, si contribuirebbe a ridurre quelle globali, previste a quella data, di appena lo 0,005%! (così Alberto Clò e Romano Prodi su Il Messaggero del 3 maggio 2021).
Lo stesso Cingolani, Ministro della Transizione ecologica, ha ammesso che il sacrificio che dovrà sopportare il territorio italiano “non sarà bellissimo” e sarà “elevatissimo”. E’ tutto dire!
Proporre un tale modello di un (illusorio) sviluppo energetico, costituisce un assurdo ed una contraddizione in termini; esso va nella direzione opposta a ciò che invece rappresenta il volano per una ripresa economica della Nazione che vede nel settore agroalimentare e nel turismo fondamentali fonti di entrate; settori che fondano la loro ricchezza sulla tipicità e qualità dei prodotti della terra e sulla bellezza tutta italiana: sulla bellezza della natura, del paesaggio, del patrimonio culturale di una Nazione, il Bel Paese, che è unanimemente considerato il Giardino d’Europa.
Attentare a questo patrimonio in nome di una ipotesi di sviluppo che più correttamente dovrebbe definirsi “insostenibile”, è un delitto di Stato, un affronto ai nostri Padri costituenti, una immotivata umiliazione dei principi espressi dall’art. 9, comma 2 della Costituzione. Scomparirà il Bel Paese, scomparirà il Giardino d’Europa e, con esso, l’agricoltura ed il turismo, non più attratto dalle bellezze paesaggistiche e panoramiche, ridotte a lugubri e squallidi paesaggi energetici.
Delle fonti di produzione di energia rinnovabili, prendendo in considerazione l’eolico, esso presenta aspetti di evidenti criticità sconosciuti ai più, perché volutamente ignorati da organi di informazione e da pseudo ambientalisti. Una breve sintesi di alcune di queste criticità aiuta a comprendere anche i motivi, tra i tanti, per i quali Associazioni come Italia Nostra, che si batte per la tutela del patrimonio culturale e naturale, avversano sciagurate scelte della politica nazionale, alla quale hanno chiesto un tavolo di confronto con lo scopo di proporre valide alternative alle irreali e devastanti scelte attuali.
- Gli attuali impianti eolici, quasi tutti collocati nel Sud Italia, abbattono solo insignificanti percentuali di gas serra compromettendo, invece, gravemente il paesaggio, la biodiversità, l’avifauna e l’ambiente in generale.
- Il bilancio energetico derivante dalle pale eoliche è estremamente negativo nella loro vita economica: distruggono risorse naturali e l’energia che producono è pari, se non inferiore a quella che assorbono in esercizio, provocando un grave danno ambientale; esse, infatti, funzionano solo con il vento che, se è debole, non le fa avviare; se è eccessivamente sostenuto, ne causa l’arresto. In pratica, funzionano solo con vento tra i 10 e gli 85 km ora. Conseguentemente, con poco o tanto vento non producono energia ed è necessario, quindi, ricorrere agli impianti a petrolio, con emissioni di gas serra al massimo. Quando le pale funzionano bisogna spegnere le centrali a petrolio.
- Producendo l’eolico appena l’1,5% dell’energia consumata in Italia, esso contribuisce alla riduzione delle emissioni globali solo per un misero 12 decimillesimi, o se triplicato, per 3,6 decimillesimi che rappresenterebbe, nel 2030, il contributo dell’eolico al risparmio della anidrite carbonica nell’intero pianeta!
- L’eolico è fonte di enorme guadagno per le imprese ad esso interessate, le quali, oltretutto, vengono generosamente sussidiate con ingenti somme (importi miliardari) a titolo di incentivi che noi tutti paghiamo con la bolletta bimestrale della luce, a prescindere dal fatto se poi tutti gli impianti installati funzionino regolarmente o no.
-le turbine eoliche (e i pannelli fotovoltaici) sono costruiti con materiali non rinnovabili (plastica, cemento, rame, argento, litio, cobalto, ecc.) che richiedono consumo di idrocarburi. Pensare di prelevare nell’arco di pochi anni il doppio della quantità di tali materiali oggi estratti, peraltro in via di esaurimento, allo scopo di soddisfare il fabbisogno del settore eolico e fotovoltaico, è una impresa irrealizzabile che, oltretutto, ove ipotizzabile, causerebbe un devastante disastro ambientale in conseguenza della distruzione di estese foreste e di numerosissime specie animali e vegetali, con l’effetto di aumentare – e non di diminuire – le emissioni di anidrite carbonica.
La scelta eolica (e quella del fotovoltaico sui campi), legata a forti interessi delle lobby del settore, ricade essenzialmente sulle regioni del sud Italia, martoriato da centinaia e centinaia di impianti installati in luoghi di pregio dal punto di vista naturalistico/paesaggistico/panoramico e su aree destinate alla agricoltura o all’allevamento.
Tra le regioni del Centro Sud, il Molise, con una superficie di appena 4.460,65 Kmq. e con una densità di 66,4 abitanti per Kmq., non rimarrà estraneo alla cosiddetta transizione ecologica, propagandata, ormai, come la panacea di tutti i mali.
Il Molise vede già ad oggi la presenza di ben 79 impianti industriali dell’eolico con circa 800 aerogeneratori. La produzione regionale da fonte eolica, del 3,6% (dati GSE del 2019) lo porta ad essere la regione con una maggiore densità di pale installate in proporzione al suo ristretto territorio (2,2% per l’Abruzzo; 0,2% delle Marche, 1,3% della Toscana; 6,7% del Lazio; 10,0% della Sardegna; 0,0% dell’Umbria; 14,7% della Campania, e via di seguito, tanto per citare alcuni esempi). Molise che, oltretutto, già con bassi consumi in via di ulteriore diminuzione, produce il doppio dell’energia elettrica necessaria al proprio fabbisogno, esportandone il surplus senza alcun corrispettivo.
Un’altra e più preoccupante invasione di impianti eolici e fotovoltaici è attesa già nei prossimi mesi con immaginabili e irreversibili conseguenze per la nostra regione, che pagherà ancora una volta lo scotto di una politica che procede in segno contrario a quello che, invece, dovrebbe essere il punto di partenza di uno sviluppo turistico, economico e culturale che abbia nel paesaggio, nella natura incontaminata, nei paesi delle aree interne, nei prodotti enogastronomici le sue insostituibili e forse uniche risorse. E le negative ricadute di una distorta visione politica verrebbero a verificarsi proprio in un momento che potremmo definire magico per il Molise, il quale, mai come ora, è al centro di una favorevole campagna di valorizzazione, nazionale ed estera, per le sue bellezze e tipicità. Tutto ciò segnerebbe la fine di ogni speranza per le aree interne e per i borghi antichi di cui è fatto il Molise.
Non vi è motivo di pensare che queste riflessioni non vengano condivise dalla maggioranza e dalla opposizione che siedono nel Governo regionale. Ed è con tale convinzione che sollecitiamo ancora una volta interventi tali da scongiurare i rischi di una fuorviante strategia falsamente ambientalista, inappropriata, controproducente, che farebbe definitivamente precipitare nel baratro la nostra regione, la sua economia, le sue preziosità.
La recente legge n. 53 del 22 aprile 2021 (art. 5) apre, però, uno spiraglio alla possibilità di limitare i danni della aggressione eolica e fotovoltaica, delegando il Governo ad applicare principi e criteri per l’attuazione della Direttiva UE sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili. In essa viene prevista una “disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, nonché delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attività culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi“. Il processo programmatorio di individuazione delle aree idonee è affidato alle Regioni.
Quale migliore occasione, allora, per salvare il salvabile dinanzi ad un processo “evolutivo” che, così come attualmente concepito, e se realizzato, segnerà la fine del nostro territorio, della sua identità e della memoria storica del suo popolo, cancellando ogni ambizione, ogni sforzo orientato verso un idoneo sviluppo economico, sociale e turistico del Molise?
Prendendo spunto anche dalla suddetta legge, Italia Nostra Campobasso ha chiesto di essere ricevuta dal Presidente Toma allo scopo di illustrare i rischi ai quali il nostro territorio è esposto, e per sollecitare, prospettando le soluzioni possibili per il nostro territorio:- l’avvio di uno studio del territorio, con la partecipazione attiva delle Associazioni che si pongono a difesa del Paesaggio e del Patrimonio culturale, onde individuare sin da ora quelle che dovranno essere per legge indicate come zone idonee e non della nostra regione per un giusto inserimento degli impianti delle rinnovabili;
- il completamento del Piano paesaggistico, avviato da anni, in sostituzione di quello esistente (del 1989), la cui attuazione è imposta alle Regioni dal Codice Urbani del 2004;
- la piena operatività dell’Osservatorio regionale del Paesaggio, da sempre inattivo, benché da tempo istituito;
- azioni a difesa di quella potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni in materie relative alla tutela della salute e alla valorizzazione dei Beni culturali e ambientali (art. 117 Costituzione); potestà legislativa che con la attuazione della annunciata “Rivoluzione verde a transizione ecologica” è messa a rischio da un illegittimo depotenziamento in danno delle Regioni stesse”.
Antonio Cederna, tra i fondatori, nel 1955, di Italia Nostra, ancor oggi – ed oggi più che mai – tornerebbe a dire: “Prioritaria è la salvaguardia dei beni culturali, paesistici e naturali. Tutto il resto viene dopo e qualunque ipotesi di cambiamento o di sviluppo va rigorosamente subordinata a questi valori”
ITALIA NOSTRA
Sezione di Campobasso
Il Presidente
Gianluigi Ciamarra