Una ricerca della Bocconi conferma che in Italia la laurea non è più sinonimo di occupazione di qualità, inoltre l’orientamento delle famiglie evidenzia come le scelte, spesso orientate al breve periodo, non soddisfino pienamente le aspettative dei figli.
L’analisi si concentra sugli ultimi quindici anni, periodo in cui la disoccupazione dei laureati tedeschi, tra i 25 e i 39 anni, ha oscillato tra il 2 il 4%, mentre quella degli italiani si è attestata tra l’8 e il 13%, alla base di questa situazione c’è un’informazione inadeguata sugli esiti lavorativi e retributivi delle diverse facoltà, che porta a una scelta basata sulle preferenze individuali per le diverse discipline.
Come l’Italia, anche la Germania ha una percentuale di laureati inferiore rispetto ad altri Paesi europei, i laureati tedeschi sono di 10-15 punti percentuali inferiori rispetto a quelli di Francia e Spagna, ciò che varia è la composizione per discipline scelte dagli studenti.
La Germania laurea molti più giovani in informatica, ingegneria ed economia e management, mentre l’Italia doppia la Germania per laureati in scienze sociali e in discipline artistiche e umanistiche, che sono quelle che “rendono” meno in termini di remunerazione economica.
Per quando riguarda il ritorno economico della scelta universitaria le lauree che rendono di più (tra il 70 e il 100% più di una laurea umanistica) sono, nell’ordine, economia e management, giurisprudenza, medicina e ingegneria, a parte medicina sono proprio le facoltà che registrano il deficit di laureati più alto rispetto alla Germania.
L’ultimo posto in Europa come numero di laureati è un primato di cui si farebbe volentieri a meno, ma che ci siamo guadagnato sul campo grazie alla lungimirante visione politica di chi, in questi ultimi anni, ha governato il paese, la cosa più triste e preoccupante è che l’Italia continua a investire sempre meno nella ricerca e nell’istruzione.
La situazione è molto più grave nel Mezzogiorno d’Italia dove si registra una vera e propria fuga dall’Università, il numero delle immatricolazioni è crollato vertiginosamente, così come è aumentato il numero dei giovani disoccupati o immigrati, le previsioni per il futuro non sono affatto positive.
Non ci sono risorse per creare occupazione, elargire borse di studio o reclutare nuovi docenti, ma i soldi per finanziare l’acquisto di aerei da guerra si trovano.
Sempre a proposito di record negativi, l’Italia ha il più alto tasso di abbandono dell’Università (33%) e il più basso tasso di ritorno: solo l’8%, sarà perché una volta abbandonata si capisce l’inutilità di una Università che non prepara e non è collegata con il mondo del lavoro.
Le Università italiane si basano sempre più sul lavoro precario di giovani ricercatori, sfruttati, vessati e spesso umiliati, eppure molto della produzione scientifica e dell’impegno didattico proviene dai precari, i più spesso costretti ad emigrare all’estero o abbandonare l’Università, gettando al vento anni di studio e ricerca un immenso capitale sociale dilapidato che non può che impoverire tutto il sistema Italia e che un sistema marcio non è grado di trattenere e valorizzare.
La situazione è, in poche parole, deprimente e fotografa, in maniera chiara e nitida, quello che è il declino del paese. Paese che un tempo (molto lontano) fu la patria della cultura e che ora sta diventando patria dell’assistenzialismo e della decadenza.
Alfredo Magnifico