L’ISTAT nel Rapporto 2023 considera che l’Italia non è un paese per giovani e donne, invecchia sempre di più, vede emigrare i giovani e non tutela quelli che restano.
La metà dei 18-34enni (10 milioni e 273 mila) mostra un “segnale di deprivazione” in uno dei domini chiave del benessere: istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo e territorio.
1,7 milioni di giovani (1 su 5) non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione: le ragazze staccano i ragazzi di quasi 3 punti percentuali (20,5% e 17,7%), anche quando riescono a trovare lavoro, i giovani devono fare i conti con precarietà e stipendi da fame.
Tra il 2004 e il 2022, il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni si è ridotto di 8,6 punti percentuali, mentre per i 50-64enni è aumentato del 19,2%.
Nel caso degli under 35, il tasso di occupazione si ferma al 43,7%, mentre nella fascia 50-64 anni la percentuale sale al 61,5%, un 17,8%, frutto di politiche e culture restie alla valorizzazione dei giovani.
Il concetto comune è che i giovani non li valorizziamo …ma… gli facciamo fare le fotocopie, i lavori a Cococo, i lavori a progetto, i lavori in affitto… anche se in quell’età sono al massimo della potenza creativa.
Dai 25-34 anni, si ha il periodo che dovrebbe aprire ai passaggi impegnativi, come l’ingresso nel mondo del lavoro, l’uscita dalla famiglia e l’inizio di una vita autonoma, un sogno irrealizzabile a causa della precarietà del mondo del lavoro, e anche in caso di occupazione: la retribuzione media annua lorda per dipendente è di quasi 27 mila euro, inferiore del 12% alla media europea.
Un giovane guadagna la metà di un collega adulto: (EURES), il 43% degli under 35 percepisce una retribuzione netta mensile inferiore a 1000 euro.
Tra il 2000 e il 2021, tutte le regioni italiane hanno perso posizioni nella classifica europea del PIL pro capite (PPA- parità di potere d’acquisto), il fallimento delle politiche di coesione messe in campo da Bruxelles.
I 21 anni analizzati hanno visto una generale convergenza tra le economie e i tenori di vita dei diversi territori dell’UE. Fanno eccezione la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia, con particolare riguardo per il Mezzogiorno.
Alle regioni meno sviluppate (Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) sono andati nello scorso bilancio UE (2014-2020) il 69% delle risorse stanziate per le politiche di coesione, nonostante tutto le regioni hanno continuato la loro regressione: la Calabria è passata dal 182º al 214°, la Sicilia dal 173° al 208°, la Campania dal 165° al 201°, situazione favorita dalla mancanza di politiche incisive e di una gestione virtuosa da parte dello Stato e degli enti minori italiani.
Alfredo Magnifico