L’Italia non è un Paese per giovani, per quanto abusata, l’immagine riflette fedelmente la triste realtà, segnando un declino che pare inarrestabile.
Il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, sintetizza così i dati preoccupanti emersi alla presentazione del Rapporto annuale 2024 alla Camera; in 20 anni l’Italia registra nel 2023 appena 10,33 milioni di persone tra i 18 e i 34 anni con un calo del 22,9% rispetto al 2022 quando erano 13,39 milioni. Rispetto al picco del 1994, quando rientravano nella fascia i ragazzi del baby boom, il calo è di quasi cinque milioni (-32,3%).
Il consistente calo delle nascite degli anni più recenti ha radici profonde, ed è dovuto alle scelte di genitorialità (meno figli e sempre più tardi) da parte delle coppie italiane di oggi e di ieri”, la decisione di fare meno figli, 30 anni fa, oggi ha portato ad un minor numero di potenziali genitori.
La fotografia che ci restituisce il rapporto annuale dell’Istat è desolante: siamo in pieno declino demografico, le cose vanno peggio al Sud che al Nord, dove i migranti danno una mano negli ultimi anni si è ridotto anche il contributo alle nascite da parte dei cittadini stranieri, che aveva prodotto una ripresa della natalità a partire dai primi anni Duemila.
Dal punto di vista demografico, infatti, la decrescita è impressionante, a fronte di un tasso di natalità in picchiata (sempre l’Istat registra nel 2023 “l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013”), l’aggravante è il dato sui giovani che sono i principali protagonisti del calo demografico in atto nella società italiana.
Meno bambini perché 30 anni fa non sono nati i potenziali genitori. Cambiata la famiglia: più single e coppie non sposate. Aumentato il tasso di occupazione (61,5%), cresciuti i working poor.
In Italia mancano 200mila bambini perché 30 anni fa non sono nati i potenziali genitori.
Negli ultimi 30 anni c’è stato un incremento speculare delle persone di 65 anni e più cresciute da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023 (+54,4%).
Nel 2022, il 67,4% dei 18-34enni vive in famiglia con quasi otto punti in più rispetto al 2002 (59,7%).
Nel 2022, l’età media al (primo) matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.
Nel 2022-2023, coppie non coniugate, famiglie ricostituite, single non vedovi e monogenitori non vedovi rappresentano il 39,7% del totale dei nuclei”, oltre 18 milioni e mezzo di individui, quasi un terzo della popolazione, nello stesso periodo, tra gli adulti tra i 25 e i 64 anni è raddoppiata la quota di quanti vivono senza partner, dal 10,9% al 22,1% del totale, ed è cresciuta dal 5,4 al 14,6% la quota di quanti vivono con un partner senza essere coniugati, o in famiglie sposate in cui almeno uno dei due coniugi proviene da un precedente matrimonio.
L’occupazione è aumentata ma tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue 27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania.
Il Pil reale (quello in volume) in Italia, solo a fine 2023 è tornato ai livelli del 2007: in 15 anni si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania.
L’erogazione del Reddito di cittadinanza “ha permesso di uscire dalla povertà a 404 mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022. Per quanto riguarda gli individui, l’uscita dalla povertà ha riguardato 876 mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021 e nel 2022.
Il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni in Italia nel 2023 ha raggiunto il 61,5% guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019 sia per gli uomini (al 70,4%) sia per le donne (al 52,5%) ma il divario di genere resta ampio con 17,9 punti.
Nel 2023, il tasso di inattività della popolazione di 15-64 anni (33,3%) resta il più alto della media dei Paesi dell’Ue 27 (25,0%) con un divario che per le donne è di circa 13 punti percentuali.
La quota degli occupati part-time (17,6 % del totale) è in linea con la media Ue27, superiore a quella di Francia e Spagna (rispettivamente 16,6% e 13,2%) e molto inferiore a quella della Germania (28,8%).
Nel 2023 oltre la metà dei lavoratori a tempo parziale nella classe 15-64 anni (il 54,8%) vorrebbe lavorare di più; l’incidenza raggiunge quasi il 70% tra gli uomini e a quasi 9 su 10 per quelli residenti nel Mezzogiorno.
Nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni di persone (il 34% del totale) risultano occupate con un inquadramento professionale che non richiede necessariamente il titolo d’ istruzione conseguito e, in tal senso, sono considerate sovra-istruite.
Tra il 2014 e il 2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023.
Per gli operai l’incremento è stato più rapido passando da poco meno del 9% nel 2014 al 14,6% nel 2023.
Nel 2023 l’8,2% dei dipendenti era in povertà assoluta a fronte del 5,1% degli indipendenti.
Alfredo Magnifico