Il Rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del Paese, analizza l’economia italiana, i cambiamenti del lavoro, le condizioni e la qualità della vita, spiega che l’aumento dell’occupazione negli ultimi vent’anni è dovuto soprattutto agli ultracinquantenni, che hanno contratti stabili e stipendi più alti, mentre tra i venti-trentenni, sempre meno numerosi, è concentrato il disagio economico e lavorativo, soprattutto tra le donne
I giovani tra i diciotto e i trentaquattro anni a inizio 2023, erano poco più di 10,3 milioni, il 17,5% della popolazione, due milioni in meno rispetto al 2004, una calata di quasi il 23% in vent’anni, che ci fa classificare all’ultimo posto in un’Europa che invecchia a ritmi sostenuti, l’aggravante è che da noi non solo i giovani sono pochi ma stanno sempre peggio.
Gli ultracinquantenni hanno case, stipendi alti, una vita sociale attiva e vivono sempre meglio il passaggio verso l’età anziana che si sposta sempre più in avanti, mentre i venti-trentenni continuano a collezionare stipendi bassi, contratti di lavoro deboli ed escono sempre più tardi dalle mura di casa dei genitori.
L’allungamento dei percorsi di studio ha posticipato l’ingresso sul mercato del lavoro dei giovani, sempre meno numerosi a causa del continuo calo delle nascite.
La generazione dei baby boomer, con titoli di studio via via più elevati, permangono più a lungo nel mercato del lavoro a causa del peggioramento del sistema pensionistico.
L’aumento di posti di lavoro tra il 2004 e il 2023, pari a 1 milione 279mila occupati in più, è la sintesi di un calo di oltre due milioni di occupati tra i giovani di 15-34 anni e di un milione tra i 35 e i 49 anni, più che compensato dall’aumento di 4 milioni e mezzo di occupati di oltre cinquant’anni.
Il tasso di occupazione per i 50-64enni in vent’anni è passato dal 42,3 al 63,4 per cento, aumentato soprattutto tra le donne. Mentre tra i 15-24enni è sceso di sette punti al 20,4 per cento.
I giovani entrano nel mercato più tardi e i più anziani ci restano più a lungo.
La forza lavoro occupata risulta invecchiata più velocemente della popolazione: rispetto al 2004, la quota di giovani tra 15 e 34 anni tra gli occupati è diminuita più che nella popolazione (-11,5 punti rispetto a -6,3 punti) e l’opposto è avvenuto tra gli ultracinquantenni: +16,6 contro +5,3 punti per i 50-64enni, e +1,6 contro +4,7 punti per i 65-89enni.
In Italia tra il 2019 e il 2023 il tasso di occupazione (+2,4 punti percentuali) è cresciuto più che in Germania (+1,7 punti), Francia (+2 punti) e Spagna (+2,1 punti), rimane inferiore rispetto al tasso di occupazione tedesco di ben 15,9 punti, Francese e Spagnolo (-6,9 e -3,9 punti).
Il divario con la Germania si accentua soprattutto in corrispondenza dell’occupazione giovanile, con una differenza di ben 30,5 punti percentuali.
Uno dei tratti distintivi degli ultimi vent’anni è stata la crescita dei dipendenti a tempo determinato, interrotta solo nelle fasi di crisi come quella della pandemia.
I lavoratori con contratti a termine sono infatti i primi a perdere il posto all’inizio di un periodo di crisi e ad aumentare con la successiva ripresa.
Nel 2023 i dipendenti a termine erano quasi 3 milioni, circa un milione in più rispetto al 2004, aumentati dal 18,9 al 33,4% nella fascia 15-34 anni, mentre gli ultracinquantenni, con contratto stabile, in vent’anni sono passati dal 6 all’8,2 per cento.
Dal 2023 si registra un primo calo del lavoro a termine, in favore dei contratti stabili, il lavoro a tempo indeterminato, che tra il 2004 e il 2023 è cresciuto di 1 milione 373mila unità (+9,7 per cento), è aumentato solo tra gli occupati ultracinquantenni, soprattutto al Nord e al Centro Italia, molto meno al Sud.
La metà dei giovani continua a essere occupato con contratti a termine, discontinui o part-time, con un’alta incidenza del tempo parziale involontario, soprattutto per le donne, con inevitabili ricadute sui redditi.
Il potere d’acquisto degli italiani negli ultimi vent’anni è diminuito del 4,5% mentre in Germania cresce del 5,7%, una condizione di vulnerabilità economica che interessa soprattutto i più giovani.
La povertà assoluta individuale diminuisce al crescere dell’età,sono le famiglie più giovani a essere esposte al disagio economico, anche quando lavorano, tre quarti di chi aveva tra i 25 e i 29 anni nel 2022 ha ricevuto stipendi sotto la soglia della retribuzione annuale.
A incidere sulle basse retribuzioni concorrono la contenuta intensità lavorativa e la ridotta durata dei contratti, con la diffusione di tipologie contrattuali meno tutelate e di lavori atipici.
L’incidenza delle retribuzioni annuali sotto soglia «è maggiore per i dipendenti con contratti non standard, soprattutto a termine, con quote che superano il 90% per quelli a tempo parziale; giovani, donne e stranieri, le figure più frequenti proprio nei contratti non standard, si associano le criticità retributive.
Poco meno del 40% di questi è riuscito a fare un salto avanti, raggiungendo retribuzioni più alte, grazie all’incremento dell’intensità dei rapporti di lavoro, il restante 60% permane in una condizione di disagio economico.
Non è un caso che la quota di giovani tra 18 e 34 anni che vivono con i genitori è cresciuta di otto punti percentuali dal 2002, arrivando al 67,4% nel 2022.
Più è alto il titolo di studio e il reddito delle famiglie di provenienza, minore è la probabilità di essere in condizioni di disagio economico.
I giovani italiani studiano di più rispetto al passato, ma non a sufficienza per raggiungere i livelli dei coetanei europei, negli ultimi vent’anni, i diplomati sono saliti all’85,1%.
Tra i 25-34enni, la percentuale di giovani con un titolo universitario è aumentata dal 12,2 al 29,2%, ma il ritardo con la media Ue27, è passata, per i giovani laureati, dal 23,1 al 42% ed è addirittura cresciuto.
Il livello complessivo di istruzione della popolazione tra i 25 e i 34 anni resta mediamente inferiore rispetto alle principali economie europee, sia per effetto di una percentuale ancora elevata di giovani con la sola licenza media (22%), sia per la scarsa diffusione dei titoli universitari di ciclo breve.
Tra i giovani si concentra gran parte di disoccupati e inattivi, i NEET,quelli che non studiano, non lavorano e un’occupazione non la cercano nemmeno, le donne in questo bacino sono oltre la metà, i giovani più del 39%.
Le nuove generazioni continuano a rimpicciolirsi, solo in parte infoltite dai flussi migratori, restano anche sottoutilizzate nella forza lavoro attiva, con zone del Paese, aree interne e Sud, che già oggi sperimentato più di tutte gli effetti del declino demografico, tra scarsa natalità e immigrazione in uscita verso il Nord o all’estero.
Tra i rifugiati ucraini arrivati dopo l’invasione russa del 2022 e l’aumento delle regolarizzazioni nei decreti flussi, ci si potrebbe aspettare un rimbalzo della natalità nei prossimi anni. Il che sarebbe una boccata d’ossigeno per i conti pubblici italiani, sempre più sbilanciati sulle pensioni, visto che gli over-65 sono più di quattordici milioni, di cui la metà di settantacinque anni e oltre.
L’Italia resta tra i Paesi più longevi al mondo, i nuovi anziani, sono meno anziani di prima, italiani, pur avanti con l’età, continuano a partecipare alla vita sociale, economica, politica e culturale, tutti gli indicatori sulla qualità della vita, per gli over-65, sono positivi: lo stato di salute è migliorato, usano Internet più di prima, praticano più sport, leggono, fanno volontariato, partecipano alla vita politica, invecchiano bene in una società che invecchia, peccato non poter dire lo stesso per i giovani.
Alfredo Magnifico