Mi piace ricordare, avendolo vissuto, quel che successe il 14 febbraio di quarant’anni fa, giorno di San Valentino, quando si riuscì a realizzare un patto, sottoscritto dai rappresentanti sindacali. dai rappresentanti degli imprenditori e dal Governo, che cambiò l’andamento economico del Paese.
Era un periodo di inflazione galoppante, la scala mobile assicurava il recupero del valore reale dei salari ma con due effetti contrastanti che con il tempo diventavano negativi: da una parte si assicurava un recupero che appiattiva i differenziali salariali, producendo un effetto egualitario e punitivo per le figure più professionalizzate, dall’altra innescava una continua rincorsa dei prezzi che metteva in crisi i meccanismi della crescita economica penalizzando occupazione e investimenti.
Il Prof. Tarantelli, aveva teorizzato che sarebbe toccato ai rappresentanti dei lavoratori avanzare proposte per un patto di; sviluppo, tutela e piena occupazione, alcuni lo presero come l’accettazione del taglio dei salari e blocco della crescita della scala mobile, altri per raffreddare la spirale di crescita dei prezzi e dei salari cambiando le aspettative dell’inflazione, ciò per permettere di abbassare i tassi di interesse e favorire la ripresa degli investimenti.
Il recupero salariale e la ripresa dell’occupazione sarebbero state sostenute da interventi fiscali e da investimenti pubblici.
Il patto fu approvato da un referendum popolare che confermò la giustezza della scelta del Governo di allora, ma soprattutto il coraggio dei sindacati che portarono avanti l’iniziativa.
Fu un’iniziativa sindacale portata avanti unitariamente fino al penultimo minuto, quando si arrivò alla firma il patto venne sottoscritto da Cisl, Uil e dalla componente socialista della Cgil, mentre la componente comunista del sindacato decise per il no perché richiamata dal partito al principio che le scelte politiche tocca alla politica e in questi casi il sindacato non è autonomo ma subalterno.
Il ruolo che il sindacato, allora, riuscì a giocare da protagonista delle decisioni di politica economica nazionale e la situazione attuale allora era la stagione di un clima di unità sindacale molto migliore di quella odierna, ma i problemi che riguardano le scelte di politica economica e che impattano sulla vita dei lavoratori sono altrettanto pesanti.
La questione dei salari e l’impatto sulla crescita dovuta al contenimento di consumi e investimenti è davanti agli occhi di tutti.
La crescita dell’occupazione, tanto sbandierata dalla politica, con bassi salari e demografia calante non indica un’economia in salute, ma una crisi che rischia di avvitarsi in un periodo di grande divisione del Paese.
Si è esasperato il dualismo fra fasce di lavoratori protetti e lavoratori precari, crescono settori a bassissima produttività che si reggono con il lavoro povero, che assicura un salario al di sotto del costo della vita.
La risposta non è solo il salario minimo, ma il giusto salario, alcune sentenze della magistratura, basate sull’interpretazione della Costituzione, hanno determinato per via giudiziaria, il giusto compenso, e posto il problema della necessità di un intervento legislativo che fissi l’equa retribuzione a prescindere dai contratti nazionali più rappresentativi, da qui il valore universale di salari, diritti e tutele contrattuali che possono essere applicati alle diverse categorie professionali.
Si pongono due obiettivi, fondamentali, per le organizzazioni sindacali; come difendere la crescita salariale coniugando con la piena occupazione, come fissare regole per il riconoscimento della contrattazione nazionale, che richiedono lo sforzo di tornare ad avere una reale capacità di elaborazione unitaria di piattaforme che riguardano i fondamenti della vita del sindacato, valutando le priorità da dare a temi per un confronto con Governo e rappresentanze delle imprese.
Servirebbe una nuova legislazione sulla contrattazione per elaborare iniziative che rafforzino il rispetto delle scadenze per i rinnovi dei contratti e per la tutela dei salari reali.
Una spinta per la contrattazione di secondo livello, (aziendale e territoriale), è indispensabile per una redistribuzione dovuta alla crescita di produttività, di redditività e del contributo dato dai lavoratori.
Il grande accordo del 1984 potrebbe essere la guida per pensare un modello di proposta unitaria del sindacato capace di essere all’altezza delle sfide di oggi.
Alfredo Magnifico