La fotografia dell’Italia offerta dall’indagine 2017 sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) pubblicata dalla Commissione vede un Paese dove il numero di lavoratori autonomi è fra i più alti d’Europa (più del 22,6%), si allarga percentuale tra uomini e donne occupate, i giovani tra 15 e 24 anni che non hanno e non cercano lavoro (i cosiddetti NEET) toccano il record Ue del 19,9% (la media europea è 11,5%),al contrario in Europa sono stati creati 10 milioni di posti di lavoro dal 2013.
La differenza fra uomini e donne che lavorano è del 20,1%, il numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema (11,9%) è aumentato fra 2015 e 2016, unico caso in Ue con Estonia e Romania.
Il report evidenzia; le difficoltà che i giovani incontrano nell’affacciarsi al mondo del lavoro e le conseguenze che questo comporta. Nel 2016, la disoccupazione fra i 15 e i 24 anni è stata al 37,8%, in calo rispetto al 40,3% del 2015, rimasta al la terzo posto in Europa dopo Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%).
Chi riesce a trovare un lavoro nel 15% dei casi ha contratti atipici (fra i 25 e i 39 anni, nel Regno Unito è meno del 5%, dati 2014) ed è considerevolmente più a rischio precarietà.Un giovane con meno di 30 anni guadagna in media meno del 60% di un lavoratore ultrasessantenne. La conseguenza sarà che i giovani italiani escono dal nido familiare e fanno figli fra i 31 e i 32 anni, più tardi rispetto a una decina di anni fa e molto dopo la media Ue, che si arresta intorno ai 26 anni.
In Europa con più di 234 milioni di lavoratori, il tasso di occupazione non è mai stato così elevato e la disoccupazione è al livello più basso dal dicembre 2008, i giovani hanno sempre più difficoltà per entrare nel mercato del lavoro, quando ci riescono, si trovano spesso in forme di occupazione atipiche e precarie come i contratti temporanei, che possono comportare una minore copertura previdenziale.
Di conseguenza, le nuove generazioni percepiranno con tutta probabilità pensioni più basse in rapporto alla loro remunerazione. Il rapporto prevede anche un calo dello 0,3% annuo della popolazione in età lavorativa da qui al 2060. Ciò significa che in futuro una forza lavoro ridotta dovrà fare in modo di garantire il mantenimento dell’attuale tendenza alla crescita e pagare la pensione ad un numero sempre maggiore di anziani.
Alfredo Magnifico