In 10 anni la busta paga degli italiani ha perso in media 5mila euro, questo è un problema di cui si parla troppo poco, almeno in relazione alla sua importanza, e che ha un nome preciso: questione salariale, un tema che nel nostro Paese dovrebbe deflagrare, ma siamo troppo distratti ad appassionarci ai 35 euro al giorno per migrante o allo studio sulla Tav.
Il Sole24Ore fornisce numeri che fanno impressione, se pensiamo, ad esempio, agli 80 euro di Renzi e a quanto questi rimasero al centro del dibattito, politico e da bar; se paragoniamo uno stipendio medio di oggi, poniamo 1.500 euro, ad uno analogo degli anni ’80, scopriremo che da allora si sono persi qualcosa come 250 euro, quasi il 20%, di questo non si parla, ci si lamenta delle basse retribuzioni, ma nessuna forza politica, per paura o per ignoranza, sembra volerla affrontare.
Il problema non è l’inflazione, nel tempo le retribuzioni sono salite in modo assolutamente parallelo all’inflazione, sono altre le voci che sono aumentate andando ad intaccare non solo e non tanto il potere d’acquisto, ma direttamente il saldo netto,1.695 euro degli anni ’80 sono oggi 1.464, perché ad aumentare è stata la pressione fiscale: le tasse e le aliquote più alte aumentavano la forbice tra stipendio lordo e stipendio netto, questione che riguarda, chi ha un lavoro dipendente e paga le tasse milioni di italiani dipendenti, pubblici o privati, che nell’ultimo decennio hanno perso in media 5.000 euro.
L’Ipca (indice dei prezzi al consumo) cresce del 9,9%, mentre i salari reali del 9,4%: questo significa che i lavoratori si ritrovano in tasca una perdita netta del 4%, la soluzione sarebbe diminuire il famigerato cuneo fiscale, tagliare le tasse, che nella teoria economica fa aumentare i consumi e quindi la produzione, avviando un circolo virtuoso, teoria che si scontra con l’austerity e con operazioni costose come reddito di cittadinanza e quota 100 .
I contratti nazionali di lavoro nel decennio di crisi hanno assolto al loro compito, tutelare i salari dall’inflazione, tant’è che se guardiamo i salari contrattuali e quelli reali vediamo che sono sostanzialmente allineati,il problema si presenta con la produttività.
Il tasso di crescita è troppo basso rispetto a Germania e Francia, oltre 20 punti di differenza, mentre noi cresciamo di 3 punti, la Germania di 27, questo è frutto di una riduzione di investimenti pubblici e privati, mentre in Germania e Francia hanno continuato a crescere, la crescita si ferma e si fermano i salari. Secondo calcoli dell’Isrf-centro studi CGIL- i salari netti, nell’ultimo decennio, hanno perso 5mila euro.
Come se ne esce? prendendo consapevolezza che «nel paese esiste una questione salariale con due diramazioni: la produttività deve crescere di più e anche i contratti nazionali devono cominciare a prevederne il recupero, redistribuendo quota di produttività, la seconda, tutti gli investimenti pubblici vanno fatti su materie fiscali più che su flat tax e reddito di cittadinanza occorre ridurre le tasse sul lavoro, dipendente e sui pensionati servirebbe qualcosa come 100 euro al mese di tasse in meno per ridare ossigeno ai lavoratori.
Che fatica arrivare a fine mese è sentimento comune per la maggior parte degli italiani che, con lo stipendio che percepiscono, spesso hanno difficoltà a sostenere tutte le spese che servono per mandare avanti una casa e una famiglia,siamo al nono posto nella classifica europea, le nazioni che ci precedono, come Francia e Germania, hanno stipendi di gran lunga superiori i francesi 8mila euro lordi in più all’anno, mentre i tedeschi 10mila euro, con un differenziale del 25%, molti italiani fanno fatica a sbarcare il lunario con quello che trovano in busta paga.
La crisi è provocata dalla concomitanza di due fenomeni: calo dello 0,1% delle retribuzioni e aumento dei prezzi (+0,8%). che ha fatto ridotto il potere d’acquisto dei lavoratori, aumentato tra il 2014 e il 2017, un altro dato rende la struttura retributiva piuttosto singolare: l’ampia forbice tra la massa che guadagna poco e i ‘pochi eletti’ che hanno stipendi da capogiro. Secondo i dati pubblicati da Job Pricing la curva di distribuzione delle retribuzioni in Italia concentra oltre il 60% della popolazione fra i 20.000 euro lordi annui e i 31.000, mentre quelle superiori ai 40mila euro sono riservate al 6,4% dei lavoratori,solo l’1,1% supera i 100mila euro annui, la media annua degli stipendi al Nord è di 30.622 euro, 28.569 euro al Centro, 25.961 euro all’anno di Sud e isole, un lavoratore del Nord guadagna fino al 7,2% in più di uno delle regioni centrali e il 18% (quasi 5mila euro) in più rispetto a un lavoratore del Sud.
Alfredo Magnifico