Il lavoro part-time fu introdotto nel contratto del commercio del 1983, con l’obiettivo di incrementare l’occupazione femminile, favorendo la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, e venendo incontro alle esigenze di flessibilità delle aziende.
Il legislatore fece propria questa tipologia di rapporto di lavoro e la disciplina con il d’lgs 863/1984, successivamente modificato da una serie di interventi normativi, infine arrivò il d’lgs 81/2015 (Jobs Act), che all’art. 5 prevede: “…nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
L’organizzazione del lavoro quando è articolata in turni, l’indicazione può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite.
Spesso succede che il datore di lavoro comunica l’indicazione della durata della prestazione di lavoro non al momento della stipula del contratto, ma durante il rapporto di lavoro, può succedere, in alcune aziende della grande distribuzione organizzata, del turismo o del terziario, che gli orari di lavoro vengono comunicati ai lavoratori non all’inizio dell’anno o con cadenza semestrale, come l’ordinanza in esame contesta, ma addirittura qualche giorno prima della realizzazione del turno.
Sono 2 milioni le lavoratrici-lavoratori stritolati nella trappola del part time involontario: che “Da strumento di conciliazione è diventato costrizione. Coinvolto il 16,5% delle occupate”
Una recente sentenza della Cassazione n. 11333 del 2024, solleva il problema di costituzionalità della norma prevista dal Jobs Act se non correttamente applicata.
Il lavoratore, al momento dell’assunzione, non deve conoscere solo i turni di lavoro, ma come vengono collocati nel tempo durante la prestazione lavorativa: la sentenza sostiene che è contrario alle disposizioni di legge, che il datore di lavoro comunichi l’orario di lavoro solo ex post, con cadenza mensile o annuale.
Il lavoratore part-time sa che esistono alcune fasce orarie di lavoro prestabilite anche contrattualmente, ma viene a conoscenza del suo orario di lavoro solo quando il suo diretto responsabile assegna i turni.
Queste pratiche risultano contrarie al dettato costituzionale; vedi sentenza in esame che trattando un caso simile, cita la sentenza della Corte Costituzionale numero 210 del 1992: e l’art. 36 della Costituzione perché non consentono al lavoratore di cercare un altro rapporto di lavoro e ambire a una retribuzione dignitosa e, contestualmente, permettersi una pensione adeguata, come stabilito dall’art. 38 della Costituzione.
Il legislatore, disciplinando il rapporto di lavoro part-time, ha introdotto nel tempo anche il concetto di clausole elastiche e flessibili, cioè la possibilità data alle aziende, dietro modesto compenso, di poter modificare la collocazione dell’orario di lavoro con un breve preavviso, istituto, previsto per tamponare esigenze straordinarie e limitate nel tempo, è stato gradualmente usato come strumento per assicurarsi la piena disponibilità del personale a coprire le esigenze strutturali dell’organizzazione del lavoro nelle aziende.
Questa forzatura della normativa contribuisce alla generazione di una buona fetta di lavori poveri e di part-time involontario, persone a completa disposizione delle esigenze aziendali che cercheranno il più possibile di effettuare prestazioni di lavoro supplementari per avere uno stipendio dignitoso.
Il nostro ordinamento prevede già qualche anticorpo a queste “forzatura” della normativa; il d’lgs 104/2022 ( decreto trasparenza) e circolari interpretative del Ministero del Lavoro e dell’Inail CHE rafforzano il concetto di preventiva conoscenza dell’orario di lavoro.
È fondamentale che le parti sociali nei contratti ma soprattutto il legislatore collaborino per ridefinire le normative esistenti, permettendo un’organizzazione del lavoro che sia vantaggiosa per entrambi.
Le imprese devono avere la possibilità di adattarsi ai cambiamenti del mercato, ma senza sacrificare i diritti fondamentali dei lavoratori.
Solo attraverso un dialogo costruttivo e una collaborazione attiva si può garantire un futuro lavorativo equo e sostenibile, in cui l’esigenza di flessibilità delle aziende si concili con il rispetto dei diritti dei lavoratori.
Alfredo Magnifico