Un messaggio quello lanciato il 19 marzo, in occasione della festa di San Giuseppe Lavoratore dalla commissione episcopale per i problemi sociali e del lavoro, che affronta le sfide che il mondo del lavoro deve risolvere: dal lavoro da remoto, alla disoccupazione, dai lavori poveri ai problemi di conciliabilità tra lavoro e vita familiare.
Li dove il sindacato, le associazioni datoriali e la politica non riescono a formulare proposte la commissione episcopale lancia un appello per risvegliare il torpore che opprime il mondo del lavoro.
Per i vescovi il lavoro umano è una chiave, la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, vista dal punto di vista del bene dell’uomo.
La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per la povera gente.
La pandemia ci ha consegnato un modo di lavorare nel quale è possibile coniugare, in molte circostanze, lavoro in presenza e a distanza, aumentando la capacità di conciliare vita di lavoro e vita di relazioni soprattutto nel cosiddetto smart-working, ma rischia di impoverire i rapporti umani tra i lavoratori e le relazioni familiari.
La grave crisi demografica, sta esercitando un effetto strutturale e fondamentale, per la quale vedremo nei prossimi anni uscire dal mercato del lavoro la generazione più consistente, sostituita progressivamente da un numero sempre più ridotto di giovani.
Allo stesso tempo, si estende lo sfruttamento di lavoratori immigrati, dimenticando che la loro presenza può costituire un motivo di speranza per la nostra economia, ma solo se saranno integrati secondo parametri di giustizia.
Il disallineamento (Mismatch) tra domanda e offerta, con posti di lavoro vacanti, che non trovano personale con le necessarie competenze, e giovani disoccupati che non hanno i requisiti adatti.
Le imprese cercano di localizzarsi laddove i costi del lavoro sono più bassi, alimentando una spirale al ribasso su costo e dignità del lavoro.
Se il dato statistico sulla disoccupazione, in forte calo, potrebbe spingere all’ottimismo, sappiamo invece che dietro persone formalmente occupate c’è un lavoro povero.
Occorre, infine, considerare la situazione delle donne, che in alcuni ambiti vengono penalizzate non solo con una minore retribuzione, ma anche con l’assenza di garanzie nei tempi della gravidanza e della maternità.
Non ci sarà piena giustizia, senza sicurezza sul lavoro, la cui mancanza fa ancora tante vittime. Per dare speranza occorre invertire queste tendenze.
Esistono tuttavia segni di speranza da alimentare per essere generativi e per far nascere e promuovere lavoro degno ma, come sempre, essi richiedono la nostra partecipazione attiva per proseguire l’opera della Creazione.
Un segno di speranza è il riconoscimento nei contratti di lavoro nazionali, dell’importanza della formazione permanente e della riqualificazione durante gli anni di lavoro.
È necessario valorizzare lo strumento dei contratti per impiegare le risorse a disposizione, anche, in forme di welfare e di assicurazione attenti alle emergenze sanitarie e familiari.
È segno di speranza la creazione di relazioni virtuose tra datori di lavoro e lavoratori, dove il dialogo, la riconoscenza, i meccanismi di partecipazione, alimentano fiducia e cooperazione mettendo in moto le motivazioni più profonde della persona e facendo crescere la forza dell’impresa e la qualità del lavoro.
L’augurio dei vescovi che ci sia «un’alleanza sociale per la speranza che sia inclusiva e non ideologica» (Spes non confundit,).
L’economia e le leggi di mercato non devono passare sopra le nostre teste lasciandoci impotenti. Il mercato siamo noi: sia quando siamo imprenditori e lavoratori, sia quando promuoviamo e viviamo un consumo critico.
La responsabilità sociale d’impresa è un filone sempre più consolidato grazie agli interventi regolamentari che impongono alle aziende un bilancio sociale e prendono le distanze da comportamenti furbeschi volti solo alla speculazione.
“Credenti e cittadini di buona volontà sono chiamati in questo contesto propizio a stimolare le aziende a gareggiare tra loro anche sulla dignità del lavoro e a usare l’informazione sui loro comportamenti come criterio per le scelte di consumo e di risparmio.”
La «mano invisibile» del mercato non è sufficiente a risolvere i gravi problemi oggi sul tappeto, per completare l’opera di con-creazione di una società equa e solidale, di certo davanti a tanto squallore serve continuare a seminare speranza, «i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza»
Voglio ringraziare a nome dei lavoratori fragili che rappresento per le parole che i vescovi hanno fatto sentire spero solo che li dove fallisce la mano dell’uomo sia esso sindacato, politico o imprenditore sia un miracolo a dare risposta.
Alfredo Magnifico