Il lavoro oggi è molto fragile, serve iniziare a parlare di una nuova questione sociale per affrontare; il lavoro precario, le nuove forme di povertà, la questione salariale, il problema degli incidenti mortali sul lavoro e il caporalato. Da qualche anno la situazione continua a peggiorare all’orizzonte è nero totale su un eventuale ipotesi di cambiamento per il migliorare le condizioni di vita e il benessere di chi lavora.
I governi al di là della retorica populista che, nel passato come oggi, non agiscono di certo nell’interesse dei lavoratori, la stessa sinistra ha lavorato per picconare i diritti conquistati con le lotte del 68 e 78, oggi servirebbe una rinascita per promuovere una riorganizzazione delle forze politiche e sindacali che hanno a cuore i temi della democrazia economica e del lavoro.
Serve intraprendere un percorso che ponga al centro l’interesse delle costellazioni di rappresentatività che compongono il mondo del lavoro salariato, anche perché le lotte di chi lavora risultano essere state, storicamente, il cuore di ogni cambiamento significativo, partendo dalle lotte dei lavoratori salariati e dipendenti, ma anche degli autonomi non distanti dai primi per status socio economico (si pensi a quelli che furono i ceti medi contadini oppure, per venire ai nostri giorni, al variegato mondo dei piccoli esercenti o il popolo delle partite Iva).
Serve fare il punto sulla lunga durata dell’instabilità lavorativa; la continua presenza della disoccupazione; il trattamento differenziale in rapporto a genere ed età; l’inefficacia del welfare, le forme di lavoro instabile e di una diffusa pluriattività durante ogni momento della storia del paese, tenendo conto anche della costante tendenza datoriale verso una massimizzazione dei profitti fondata su l’intensificazione dei ritmi produttivi e sulla minimizzazione dei costi, che comporta la ricerca di manodopera al più basso costo possibile.
Questa forza lavoro è sempre composta da elementi vulnerabili e minacciabili, nell’ Ottocento e negli anni Settanta del Novecento si articolò una progettualità politica di inquadramento giuridico del lavoro stabile come punto d’arrivo condiviso.
Questa conquista è simboleggiata prima di tutto dallo Statuto dei lavoratori ed è stata resa possibile dalla forza di un movimento operaio capace di generare conflitto distributivo, anche se non annulla la presenza di ampi margini di lavoro non stabile, si pensi al lavoro a domicilio che, non a caso, coinvolge soprattutto le donne. Donne che hanno sempre lavorato tanto all’interno quanto all’esterno delle mura domestiche, a prescindere dalla loro costruzione sociale e politica in quanto mogli e madri. Non sono mai state solo questo né mai lo saranno.
Il lavoro precario ha attraversato tutta la storia italiana, con diversa intensità, coinvolgendo soprattutto i soggetti marginalizzati e con minore potere sociale come le donne, i giovani, i migranti.
Le condizioni di lavoro e di vita precaria assurgono a sistema comune, (che mantiene delle differenze al suo interno in rapporto ai generi, alle classi sociali, alle provenienze) tramite i processi di flessibilizzazione degli anni Ottanta e Novanta, che hanno dato legittimità politica a una dinamica di lunga durata.
Occorre avviare un’ampia riflessione sulla disoccupazione poichè serve combattere questo fenomeno, non è efficace concentrarsi solo sulla deregolamentazione del mercato del lavoro ma è necessario far crescere gli investimenti pubblici e privati, in modo da dare nuovo impulso alla domanda di lavoro.
Quest’ultimo appare come il metodo che ha ottenuto risultati migliori nel corso del tempo.
Devono essere affrontati i grandi problemi strutturali che hanno da sempre caratterizzato il mercato del lavoro italiano, come la disoccupazione giovanile, che diventa un tema negli anni Settanta ma che può essere solo in parte dovuta a cause contingenti come la questione demografica legata al baby boom. Quest’ultima non basta a spiegare la presenza della disoccupazione tra i giovani già negli anni Cinquanta e la sua recrudescenza oggi. È più probabile che abbiano concorso varie concause come la mancanza di un welfare universalistico che permetta di sostenere la ricerca di un lavoro e lo scarso dinamismo tecnologico dei sistemi produttivi italiani.
Alfredo Magnifico