Nella legge di bilancio il governo Meloni ha stabilizzato per cinque anni il taglio del cuneo fiscale, ha ridotto a tre le aliquote Irpef e ha allargato il bacino delle partite Iva che possono pagare un forfait del 15% di tasse.
Il governo dice di aver tagliato le tasse, eppure la pressione fiscale nel 2024 è aumentata: secondo i dati Istat, rispetto al 2023 si è registrato un aumento dello 0,8 per cento, arrivando al 40,5 per cento.
Sembra un paradosso, ma è così. Giancarlo Giorgetti «ministro delle Finanze dell’anno», non ha tagliato le tasse, come afferma il governo, ma ha contenuto il deficit italiano, trovando le risorse per il taglio del cuneo fiscale, con un mix di aumento delle entrate e taglio delle spese, unito alla riduzione delle detrazioni sui redditi medio-alti.
Nel 2024, in effetti, le entrate pubbliche sono cresciute di quasi ventisette miliardi di euro, cosa che capitò anche con il governo Draghi: in quel caso, l’ aumento del Pil dopo la pandemia provocò un aumento delle entrate, che venne speso (in parte) per i sussidi legati all’aumento del costo dell’energia.
Nel caso del governo Meloni, l’aumento è legato in parte all’aumento d’occupazione, nel 2024 gli occupati hanno superato la soglia record di ventiquattro milioni, con un incremento del tasso di occupazione al 62,4% più dipendenti, più stipendi e più Irpef versato.
Il governo, però, dimentica di considerare l’apporto del fiscal drag,(drenaggio fiscale), la quota di Irpef pagata in più da dipendenti e pensionati per colpa dell’inflazione, ma senza un reale aumento del reddito.
Gli scaglioni Irpef e le detrazioni non sono indicizzati all’aumento dei prezzi, per cui l’Irpef da pagare aumenta e il reddito reale diminuisce, così, il graduale aumento degli stipendi legato all’inflazione, con il rinnovo (tardivo) dei contratti e la parziale rivalutazione delle pensioni, ha fatto aumentare la quota di reddito che finisce in tasse. Senza che sia neanche necessario che il contribuente passi a uno scaglione di reddito superiore.
Se si è avuto quindi un rinnovo del contratto che ha adeguato, anche solo parzialmente, il reddito all’inflazione del 2022 e 2023, quando nel 2024 si è pagato l’Irpef è di fatto aumentata la quota del reddito pagata in tasse. Crescendo la base imponibile su cui si calcolano le imposte, crescono le imposte stesse. Nonostante, in termini di potere d’acquisto, il reddito reale non è affatto aumentato.
Il fiscal drag riguarda chi è sottoposto a sistemi fiscali progressivi, non riguarda chi gode della flat tax, la tassa piatta, poiché la quota di reddito da versare allo Stato non varia all’aumentare del reddito, ma pesa solo su lavoratori dipendenti e pensionati, che poi sono gli stessi contribuenti che già assicurano oltre l’85% di tutto l’Irpef versato, il risultato è che la pressione fiscale, data dal rapporto tra entrate dello Stato e Pil, per questi contribuenti è aumentata.
Nel 2022 lo Stato ha incassato dal fiscal drag quattordici miliardi di euro, di cui 9 dai dipendenti e 3,9 miliardi dai pensionati, per il 2023 e il 2024 non ci sono ancora i dati ufficiali delle dichiarazioni Irpef, ma secondo una stima degli economisti si è arrivati a una cifra tra i 16,5 e i 17,9 miliardi per i soli lavoratori dipendenti, le Maggiori entrate per lo Stato si sono tradotte in una maggiore pressione fiscale.
La cifra somiglia molto alla somma spesa dal governo nella manovra per finanziare il taglio del cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote Irpef, anche perché il concordato preventivo, propagandato come lo strumento per finanziare un ulteriore taglio dell’aliquota Irpef intermedia, si è rivelato un flop, l’incasso complessivo è stato solo 1,6 miliardi somma insufficiente per ulteriori tagli di aliquote.
Negli anni Settanta e Ottanta l’inflazione in Italia era alta, per un certo periodo lo Stato restituì in busta paga ai dipendenti il fiscal drag, si indicizzarono gli scaglioni Irpef e le detrazioni all’inflazione e in questo modo il drenaggio fiscale.
Ora la scala mobile non esiste più, il potere d’acquisto si prova a recuperare con i rinnovi contrattuali e il fiscal drag è tornato, chi paga imposte progressive, dipendenti e pensionati, finisce per pagare più tasse di prima.
Le misure messe in campo negli ultimi anni per ridurre la pressione fiscale – dagli 80 euro di Renzi al bonus da cento euro di Gualtieri, fino alla decontribuzione di Draghi – sono state polverizzate negli ultimi anni dall’inflazione altissima, l’effetto del fiscal drag ha ridotto i redditi disponibili del 3,6%.
Se da una parte con il taglio del cuneo fiscale si aumenta il reddito dei lavoratori dipendenti nelle fasce fino ai quarantamila euro, dall’altra si incrementa la pressione fiscale non restituendo il fiscal drag.
Risultato: i redditi medio- bassi sono più poveri di prima, anche se il governo dice il contrario.
Alfredo Magnifico