Il flop del Jobs Act e la generazione voucher

Con l’introduzione del Jobs Act si è verificata una mutazione strutturale dei rapporti e delle forme di lavoro, perseguita per anni e realizzata dal Governo Renzi. Il Jobs Act era stato presentato come la madre delle riforme del diritto del lavoro ,in un primo momento anch’io ci avevo creduto partecipando con l’onorevole Laura Vennittelli al tavolo della Leopolda. Il Jobs Act avrebbe dovuto azzerare il popolo delle partite Iva e promuovere occupazione stabile, ma ha dato esiti del tutto opposti. Senza voler formulare teorie fumose ma facendo un’all’analisi emersa dalle fonti ufficiali sull’occupazione (dati Istat, Inps e Ministero del Lavoro) emerge un risultato modestissimo, raffrontato alla mole di miliardi investiti: i nuovi posti di lavoro creati nel 2015 (escluse quindi le trasformazioni) sono solo centomila, di cui ben il 60% sono contratti a termine.
La spesa complessiva per partorire questo topolino: ammonta ad una montagna di denaro 6,1 miliardi di euro, ogni posto di lavoro aggiuntivo rispetto all’anno precedente è costato alle casse dello Stato, nel 2015, 60.000 euro, quanto il costo di due dipendenti pubblici neoassunti, se le stesse risorse fossero state utilizzate in investimenti pubblici, per creare direttamente occupazione si sarebbero potuti creare molti più posti di lavoro.
Il New York Times non è stato tenero nel giudizio : “Renzi’s jobs act isn’t getting Italy to work”, nel marzo 2016 è arrivata, anche, la stroncatura della Banca d’Italia: che afferma “quel poco di incremento sull’occupazione del 2015 è attribuibile, quasi totalmente, alla decontribuzione” un incremento lieve e costosissimo in termini di risorse pubbliche, il cui consolidamento è tutto fuorché scontato. Benzina sul fuoco ha buttato anche l’Istat; i dati occupazionali aggiornati al febbraio 2016 parlano di 97.000 occupati in meno, il 92% dei quali a contratto permanente.
Sta esplodendo, dunque, la “bolla occupazionale” Il Jobs Act si rivela giorno dopo giorno un vero e proprio flop. Senza domanda e investimento non c’è nessuna ragione per assumere, finita la corsa agli incentivi, le imprese torneranno rapidamente allo standard post-crisi del 2008,il che la dice lunga sulla fine che faranno i contratti attivati o trasformati beneficiando della decontribuzione e che vedranno la stessa terminare completamente a fine 2017. In realtà l’andamento dell’occupazione si regge sull’unico vero boom: circa Un milione di lavoratori ultra cinquantacinquenni obbligati dalla legge Fornero a restare al lavoro.La Fornero ha aumentato l’occupazione più del Jobs Act, a scapito del turn-over fisiologico tra lavoratori e dell’ingresso dei giovani.
Non dimentichiamo che tra gli obiettivi positivi del Jobs Act c’era quello di ridimensionare il popolo delle partite Iva “altra bufala” è aumentato in maniera esponenziale il numero dei “voucheristi”, la nuova generazione del precariato. Un milione e 392 mila persone hanno lavorato con i buoni per il lavoro accessorio, senza alcuna tutela in termini di previdenza, malattia o maternità ,guadagnando in media 633 euro in un anno, lo 0,4%, pari a circa 5.000 persone, ha guadagnato oltre i 5.000 euro.
L’insieme dei dati fornisce l’ennesimo preoccupante quadro del lavoro italiano: alla crescita della disoccupazione si aggiunge la tendenza dell’occupazione a concentrarsi in servizi a basso valore aggiunto e a basso contenuto tecnologico, a testimonianza della pericolosa involuzione del nostro processo produttivo. Non c’è nessuno sforzo delle imprese in termini produttivi. Gli investimenti continuano a diminuire e di un rinnovato interesse per lo sviluppo di processi innovativi non si vede alcun segno. La nostra distanza dall’Europa aumenta invece di diminuire, perché la qualità del nostro sviluppo è di basso livello.
Gli incentivi dati alle imprese per assumere tendono a essere utilizzati per sostenere la produzione già in essere e per tradursi in profitti. E’ la solita politica dell’imprenditoria nazionale che punta essenzialmente alla competitività di prezzo. La struttura produttiva italiana, profondamente indebolita dopo otto anni di crisi (tra il 2008 e il 2016 si è perso quasi il 20% della capacità produttiva manifatturiera), è su una traiettoria involutiva molto pericolosa.
Per invertire una simile tendenza è necessario recuperare in termini produttivi tenendo d’occhio; l’uso della domanda come strumento di politica economica ,il rafforzamento della dinamica salariale, investimenti massicci nella scuola e nell’università pubblica”. Trovare le risorse si può , per accrescere gli investimenti e per puntare sulla riforma del welfare attraverso una riforma della fiscalità in senso progressivo ,con la lotta all’evasione fiscale e con i tagli per grandi opere dannose o per spese inutili come gli F35.
Alfredo Magnifico

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