Ci sono argomenti che periodicamente si ripropongono alle cronache locali, vivono momenti di grande esposizione per poi tornare nel dimenticatoio. Uno su tutti, non fosse altro che per la durata: il Parco del Matese.
Di un parco regionale tale da interessare l’incontaminato paesaggio del Molise si è iniziato a parlare con una certa frequenza già negli anni Settanta e da allora si sono susseguite proposte, che poi si sono tutte arenate, passando prima per il solito turbinio di convegni, proclami politici, sedute partitiche e manifestazioni di piazza.
Perché il Molise non riesce ad avere questo importante parco regionale? Lo dico senza filtri: perché per decenni la classe politica non l’ha voluto. Potrebbe sembrare una contraddizione, visto proprio il frenetico susseguirsi di eventi e comunicazioni pubbliche sul tema; ricordiamo per tutti il grande ‘battage’ mediatico di alcuni anni addietro, con una manifestazione pubblica presso la sala della Costituzione della Provincia di Campobasso, con la partecipazione del noto geologo e personaggio televisivo Mario Tozzi. Nonostante ciò, quando si è trattato di decidere sono partite le tecniche dilatorie, le proposte di rinvio, i tentennamenti.
In verità lo scoglio principale, quello che ha condizionato la politica ed impedito il concretizzarsi delle proposte di Parco del Matese è stato sempre lo stesso: l’opposizione da parte di cacciatori ed agricoltori, contrari alle restrizioni e limiti che un parco regionale impone sia allo sfruttamento venatorio che a quello delle produzioni. Proprio questo motivo, unito all’intransigenza, dalla parte opposta, delle associazioni ambientaliste sia sui limiti territoriali che,appunto, sulle restrizioni, ha creato un clima di silenzio, registrato anche a ridosso delle proposte.
Ora il Parco del Matese ha esaurito gran parte dell’iter procedurale di riconoscimento; ma per l’ennesima volta tutto si è arenato ‘all’ultimo miglio’, in prossimità del traguardo: e questo a tutto induce, tranne che all’ottimismo.
Stefano Manocchio