La priorità dell’Italia è invertire la crisi demografica, finora le risposte dei governi alla crisi demografica sono state timide, frammentate e scoordinate, la pandemia ha aggravato negativamente le nascite, nel primo mese di quest’anno si sono registrate 30.676 nascite con una diminuzione del 12% rispetto al gennaio 2020.
La crisi demografica ha radici ben più profonde; nel periodo 2007-2010 si sono registrate in media 567 mila nascite, tra 2017-19 era scesa a 440 mila (-22%), nel 2020 si sono registrate solo 404 mila nascite: il numero più basso dall’Unità d’Italia, i dati relativi a gennaio indicano che quest’anno si registrano meno di 400 mila nascite.
Due i fattori che incidono sulla crisi; il primo è la diminuzione di donne in età fertile, nella prima decade del 2000 il numero di donne d’età compresa tra 15 e 44 anni era 9,5 milioni (8,1 milioni escludendo la fascia d’età 15-19), nel 2020 il numero di donne d’età compresa tra 15 e 44 anni era 8,1 milioni (6,8 milioni escludendo la fascia d’età 15-19), il secondo fattore è la diminuzione del numero di figli per donna, negli anni ‘60 e ‘70 era 2,3 a partire dagli anni ‘80 il tasso si è stabilizzato al di sotto del 1,5, scendendo nella prima decade del 2000 al 1,34,mentre nel 2019 il tasso registrato era 1,26, il peggior dato in Europa dopo la Spagna (1,23) e lontanissimo da Germania (1,54) e Francia (1,86).
L’Istat afferma che la tendenza è avere un figlio per coppia anche se in Sardegna è 0,95 figli per donna, per il secondo anno consecutivo, non si coglie nemmeno l’obiettivo minimo di rimpiazzare almeno un genitore.
Il problema non è solo culturale ma soprattutto di opportunità di lavoro; il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 39 anni (47%) è il più basso dell’UE (61% in media) e l’occupazione femminile (53%) è lontanissima dalla media europea (66%),mentre le regioni meridionali (Sicilia, Calabria e Campania) registrano i dati peggiori dell’Europa continentale: meno di una donna su tre ha un lavoro.
La continua riduzione delle nascite ha generato uno squilibrio tra le classi di età, l’Italia è il Paese con la più alta percentuale di over 65 nell’Unione europea: 23,2% contro una media europea del 20,6%, il numero di bambini di età uguale o inferiore a 10 anni (4,8 milioni) è leggermente superiore a quello degli anziani di età superiore a 80 anni (4,4 milioni), per ogni 100 persone tra 15 e 64 anni, ci sono 36,4 persone con più di 65 anni, la media europea è di 32 mentre in Spagna 29,7.
Secondo l’Ocse, l’Italia è tra i paesi che per le pensioni in percentuale al proprio Prodotto interno lordo spende di più (15%) mentre la Germania spende circa il 10%.
Nei prossimi dieci anni, dati Ministero pubblica istruzione, l’Italia potrebbe avere fino a 1,4 milioni di studenti in meno, la crisi demografica sta amplificando la sfida di trovare un equilibrio tra un maggior numero di pensionati e un minore numero di lavoratori.
Il governo italiano, negli ultimi anni, ha cercato di incoraggiare i tassi di natalità e garantire maggiori diritti ai genitori, con indennità annuale per i neonati, che varia in base al reddito familiare, e che, arriva fino a 2.000 euro l’anno,una misura che copre solo il primo anno e scoordinato con altre misure,inoltre ha promesso di aumentare il numero di asili nido ma, l’offerta si conferma sotto il parametro del 33% fissato dall’Ue per sostenere la conciliazione vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Ad oggi la risposta, dei governi, alla crisi demografica è state timida, frammentata e scoordinata, la pandemia e i fondi europei rappresentano il momento del cambiamento, il riordino delle misure di assistenza alle famiglie, approvato con legge delega lo scorso marzo, è un tema in agenda, come annunciato dal Presidente Draghi dovrebbe slittare al 2022.
Il governo ragiona di introdurre un assegno unico e universale che possa sostituire tutte le misure in vigore, un premio riconosciuto per il nucleo familiare e per tutti i bambini dalla gravidanza della madre fino ai 21 anni con un’importo variabile in base al reddito familiare, al numero di figli e alla loro età.
Una riforma dell’assistenza alle famiglie implica la presentazione di una riforma fiscale, gli aiuti del governo,fino ad adesso, è passata attraverso detrazioni fiscali, si sta ancora discutendo misura e importo dello stanziamento.
Draghi ha promesso che la cifra sarà mediamente di 250 euro al mese per bambino, ma i 20.000 milioni di euro stanziati per la riforma potrebbero essere insufficienti, nelle prossime settimane governo e parlamento dovranno trovare la quadratura del cerchio.
La pandemia ha solo peggiorato la situazione socio-economica, a causa della quale i giovani preferiscono avere figli in ritardo, nessuno si illude che la riforma possa invertire la crisi demografica italiana, il motivo principale per cui la crisi demografica può essere risolta solo attraverso una crescita economica sostenibile e inclusiva.
Per decidere di avere figli, i giovani hanno bisogno di un lavoro certo, una casa e un sistema di welfare e servizi per l’infanzia.
Alfredo Magnifico