Democrazia monca, meno di mezzo popolo vota

Nel 1983 il 90% degli italiani votava alle politiche, oggi la percentuale è scesa sotto il 70%; per le regionali si è passati dall’88% del 1985 al 45% del 2024; e alle comunali ed europee, il calo è altrettanto drammatico.

Giorgia Meloni alle elezioni ha ottenuto il 7% dei voti complessivi, e alle politiche del 2022 il 25% dei votanti, governa con il voto del 17% degli italiani.

Il tema del basso tasso di partecipazione alle elezioni è complesso e preoccupante, non solo in Italia ma a livello internazionale, a parte le ultime votazioni presidenziali americane.

Questo è un segnale di crisi profonda, quasi una “rivoluzione epocale” la “morte della democrazia”, alcuni lo interpretano come un “fenomeno provvidenziale”, perché alle urne si presentano solo i più istruiti, i più giovani e i più benestanti, poveracci e ignoranti continuano a sostenere “tanto non cambia niente”, il  rischio è che si   torna a una democrazia elitaria, in cui vota solo chi viene  considerato adatto a decidere per tutti.

Il popolo è orientato a rinunciare al diritto che lo dovrebbe far sentire libero e invece si adagia ad essere servo, in una sorta di “semidemocrazia” penso sempre a mio Nonno che non poteva votare perché non nobile e a mia madre che per la prima votazione ha dovuto aspettare che il voto fosse esteso alle donne. Per loro poter votare fu indice di libertà.

Questa nuova forma di governo rischia di diventare la realtà con cui fare i conti, sfiducia, disinteresse e servilismo sono in crescita, con conseguenze evidenti, basta vedere chi rappresenta il Molise in parlamento e rendersi conto che è ingiusto lamentarsi, se a Roma ci si arriva prima a dorso di Ciuccio che con un treno.

Si è abdicato ad avere rappresentanti locali, prima o poi si compromettono i principi di rappresentatività su cui si basa la democrazia liberale.

Neanche la metà degli aventi diritto vota, i risultati elettorali rispecchiano questa realtà, i rappresentanti vengono scelti da una minoranza che poi governa per tutti.

Forse è il momento di sperimentare un diverso modello di votazione; introducendo primarie per i candidati e ripristinando il voto di preferenza, soprattutto con nuove modalità di voto; voto postale, voto nei gazebo o voto online.

Le élite e le oligarchie, beneficiano di questa situazione e puntano il dito contro gli astensionisti, ma tale disaffezione è alimentata da sfiducia, protesta, e disinteresse.

La molteplicità di partiti personalistici e privi di radicamento territoriale, rispondono solo al carisma del leader e alle logiche dei media, scoraggia l’elettore, non più partiti con solidarietà, eguaglianza, e giustizia sociale, ma partiti che promuovono un modello in cui l’Io” prevale sul “Noi”, minando i principi della democrazia partecipativa.

Il dibattito sul premierato promette maggiore stabilità e decisionismo, ma la concentrazione del potere in un solo leader potrebbe esacerbare l’allontanamento dei cittadini dal processo democratico, ridurre le occasioni di partecipazione e controllo.

In un sistema già segnato dall’ astensionismo e dalla sfiducia, un premierato forte rischia di allontanare ancor più il “Demos” dalla gestione della cosa pubblica, rafforzando quella che ormai appare come una tendenza verso una “mezza democrazia”, aggiungendo il rischio che per eleggere il premier…del premierato, si rechi alle urne, anche nel caso di ballottaggio, solo una minoranza di elettori.

La questione non è se accettare o meno questa “metà democrazia”, piuttosto, dovremmo interrogarci su come affrontare una crisi profonda che mette in discussione i fondamenti della rappresentanza e della partecipazione politica.

Alfredo Magnifico

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