Nel rapporto «Time to care» di Oxfam emerge che Ferrero, Del Vecchio e Pessina, in cima alla lista dei ricchi di Forbes, hanno più soldi del 10% degli italiani, infatti, se si somma la ricchezza dei sei milioni di italiani più poveri, la cifra che si ottiene non raggiunge il patrimonio posseduto dai tre miliardari più ricchi d’ italia.
A livello globale un’élite di 2.153 miliardari detiene una ricchezza superiore al patrimonio di 4,6 miliardi di persone, mentre alla metà più povera della popolazione resta meno dell’1%.
Alla fine del primo semestre del 2019 la ricchezza italiana netta ammontava a 9.297 miliardi di euro, in calo dell’1% rispetto al giugno 2018, il 20% più ricco degli italiani deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale, il successivo 20% era titolare del 16,9% del patrimonio nazionale, mentre il 60% più povero possedeva appena il 13,3% della ricchezza del paese.
Il 10% più ricco della popolazione italiana, in termini patrimoniali, possiede oggi oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.
Il patrimonio del 5% più ricco degli italiani, titolare del 41% della ricchezza nazionale netta è superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero.
La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco, che detiene il 22% della ricchezza nazionale, vale 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.
Le proprietà delle 22 persone più facoltose supera la ricchezza di tutte le donne del continente africano.
In un mondo in cui il 46% di persone vive con meno di 5,50 dollari al giorno, restano forti le disparità nella distribuzione dei redditi.
Con un reddito medio da lavoro pari a 22 dollari al mese nel 2017, un lavoratore collocato nel 1% con retribuzioni più basse avrebbe dovuto lavorare quasi tre secoli e mezzo per raggiungere la retribuzione annuale media di un lavoratore del top-10 per cento globale.
Poi c’è il lavoro di cura non retribuito, che vale oggi tre volte il mercato globale di beni e servizi tecnologici e impedisce al 42% delle donne nel mondo di avere un impiego.
In Italia, la quota del reddito da lavoro del 10% dei lavoratori con retribuzioni più elevate (pari a quasi il 30% del reddito da lavoro totale) superava complessivamente quella della metà dei lavoratori italiani con retribuzioni più basse (25,82%).
Quanto alle grandi ricchezze, rielaborando dati e metodologie utilizzati da Credit Suisse per il suo Global Wealth Report la ong arriva alla conclusione che a metà 2019 il 20 per cento più ricco deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale e al 60% più povero restava appena il 13,3% della ricchezza nazionale.
La quota di ricchezza detenuta dal 10% più ricco è cresciuta del 7,6% mentre quella in mano alla metà più povera degli italiani è lentamente e costantemente scesa (ad eccezione di un lieve “recupero” nel periodo 2017-2019), riducendosi complessivamente negli ultimi 20 anni del 36,6%.
Secondo uno studio di Francesco Bloise, il 32% cento dei figli di genitori più poveri, sotto il profilo patrimoniale, è destinato a rimanere fermo al piano più basso, quello in cui si colloca il 20% più povero della popolazione, mentre il 58% di quelli i cui genitori appartengono al 40% più ricco manterrà una posizione apicale.
Per i discendenti del 10% più povero ci vorrebbero cinque generazioni per arrivare a percepire il reddito medio nazionale, così che “le diseguaglianze si perpetuano” da una generazione all’altra.
Oggi in Italia il 30% dei giovani occupati guadagna meno di 800 euro al mese e il 13% degli under 29 versa in condizione di povertà lavorativa.
I 15-29enni in particolare “mostrano un trend costante di riduzione delle retribuzioni annue medie e più marcato rispetto alle classi dei lavoratori in età tra i 30 e i 49 anni e gli over 50. Un trend che ha visto, fatta 100 la media dei redditi sulla popolazione in un dato anno, i redditi dei giovani ridursi da 76.3 del 1975 a 60 del 2010 per calare ancora a 55.2 nel 2017.
Dei pochi che vedono le proprie fortune e il potere economico consolidarsi, e dei milioni di persone che non vedono adeguatamente ricompensati i propri sforzi e non beneficiano della crescita che da tempo è tutto fuorché inclusiva. occorre rimettere al centro la dignità del lavoro, poco tutelato e scarsamente retribuito, frammentato o persino non riconosciuto né contabilizzato, come quello di cura, per ridarle il giusto valore.
Alfredo Magnifico