«Cooperazione del credito, chi non ci crede cambi nome», intervento del direttore generale della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate, Luca Barni

Basito.
Faccio fatica ad usare altre parole di fronte alle notizie che leggo sul nascente gruppo bancario cooperativo Cassa Centrale Banca: “Ci quoteremo in borsa”. “Collocheremo prodotti di credito al consumo in partnership con Deutsche Bank”.
Mi fermo qui, ma mi basta. Il perché di questa mia perplessità ha radici lontane. Tra le pagine della mia memoria ricordo che, da giovane manager di Bcc, ebbi l’onore di essere selezionato per partecipare ad un master dedicato alla formazione del management cooperativo. Un bellissima opportunità: imparai davvero tanto perché oltre “a far di conto” pensando ad una finanza rivista in chiave locale e solidaristica, ho sentito frasi del tipo: “Le banche locali senza scopo di lucro hanno a cuore l’identità e la cultura del territorio. Possono restituire alla finanza il fine del servizio alla società”. “Mantenere il denaro all’interno di una comunità è un ruolo importante. I soldi che noi mettiamo in banca devono essere riutilizzati a livello locale. Anche questo è un modo con il quale le banche locali possono contribuire a rafforzare la cultura locale che genera fiducia. E senza fiducia non c’è mercato”. Parole e musica dell’economista Jeremy Rifkin.
Non sono un integralista, per carità, ma rileggo spesso queste pagine per capire come possano tali idee continuare a mantenere la loro forza in contesti economici e storici profondamente diversi.
D’accordo, si dice che solo gli stupidi non cambiano mai idea. Ma da qui a sposare chi ha fatto della turbo finanza l’asset fondamentale del proprio agire (è stata presa a riferimento Deutsche Bank, una delle prime cinque banche europee per detenzione di titoli tossici) ce ne passa. Ma anche ipotizzare di “andare in borsa”, come dichiarato dai vertici del costituendo gruppo Cassa Centrale Banca, permettetemi, che c’azzecca con il principio “una testa un voto”, con la democrazia economica di Rifkin?
Intendiamoci, non voglio esprimere giudizi di valore. Ma anche se la giro dal punto di vista strettamente aziendale rimango sbalordito: può una società di servizi negoziare le sue due miniere aurifere, ovvero i dipendenti e il database clienti?
Sbaglierò, ma ipotizzando uno scenario al contrario, non riesco proprio a vedere i tedeschi condividere i loro dati sensibili … Anzi – e la tocco piano – parrebbe un’operazione per aprire a loro nuovi possibili sbocchi di business. Forse, ma è solamente un’ipotesi, si sta svendendo un pezzo di cooperazione italiana a chi mira a nuovi potenziali clienti. Forse – ancora ipotesi – si sta facendo un gioco che mira altrove, non certo a soci, territori e comunità. Una cosa è però certa, i nostri vecchi non avevano torto dicendoci: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.
Ripeto, è business, e quindi ognuno fa ciò che ritiene più giusto. Ma che a rimetterci, e sono certo che alla fine sarà così, sia la cooperazione del credito, no!
E non sono nemmeno così sicuro che lo scenario paventato dal nascente gruppo cooperativo Cassa Centrale vada bene ai soci e alle comunità delle Bcc interessate.
La parola “cooperativo” per me ha ancora un significato ben preciso. Se la uso è perché condivido certi valori. Non c’è nulla di male a fare scelte diverse, il business è business. L’importante però è essere coerenti. E, quando necessario, avere il coraggio di cambiare nome.
Luca Barni
Direttore generale Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate

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