Nel XX Rapporto dell’Inps, pubblicato nei giorni scorsi, si paragonano i livelli di’occupazione, tra l’anno pandemico (marzo 2020-febbraio 2021) e il precedente anno pre pandemico (marzo 2019-febbraio 2020), relativamente ai flussi di assunzioni, cessazioni e trasformazioni a tempo indeterminato con le conseguenti variazioni delle posizioni di lavoro in essere.
Nell’anno pre pandemico le posizioni di lavoro erano aumentate di 302 mila unità per effetto dell’incremento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+277mila) e della stabilità delle altre tipologie contrattuali dove, a fronte della crescita di apprendisti e intermittenti, si era segnalata la contrazione dei rapporti di lavoro a termine.
Tra i lavoratori in regime di somministrazione la crescita dei tempi indeterminati aveva quasi interamente compensato la riduzione di quelli a termine.
Nell’anno della pandemia i flussi riguardanti tutte le tipologie di rapporti di lavoro si sono irrigiditi; le assunzioni hanno subito una contrazione intorno al 30%, arrivando a sfiorare un -40% per lavoratori intermittenti e apprendisti. Le trasformazioni a tempo indeterminato sono diminuite del 21%, nonostante il buon risultato a dicembre dovuto agli incentivi previsti dal “Decreto Agosto”.
Le cessazioni sono calate mediamente del 25%; livelli elevati si registrano per l’apprendistato (-31%) e per il tempo indeterminato (-29%), le tipologie contrattuali più interessate dal blocco dei licenziamenti e dal ricorso contestuale alla cassa integrazione da Covid-19: misure previste e ripetutamente prorogate a partire dal Decreto “Cura Italia” del 2020.
L’effetto congiunto di queste dinamiche di flusso ha comportato l’incremento delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato anche nell’anno pandemico: +224mila, per quanto ridimensionate, le assunzioni e le trasformazioni hanno nettamente superato le cessazioni, mentre per le altre tipologie contrattuali, il saldo tra i flussi nell’anno pandemico ha dato luogo a rilevanti risultati negativi: le posizioni a termine compreso apprendistato e somministrato sono diminuite di 261 mila unità, mentre a fine febbraio 2021, risultavano diminuiti di 37 mila unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Per gli uomini vi è una variazione positiva perché il calo delle varie tipologie di rapporti a termine viene compensato dalla crescita delle posizioni a tempo indeterminato; per le donne la compensazione è parziale in quanto a fronte di una diminuzione di 149 mila posizioni a termine, quelle a tempo indeterminato sono aumentate di 68mila unità: il saldo negativo è dunque per 81 mila unità.
Le donne hanno subito maggior contrazione negli impieghi temporanei, e hanno strutturalmente beneficiato in misura minore della specifica regolazione anti Covid-19 che ha tutelato le posizioni di lavoro a tempo indeterminato.
Il binomio accesso gratuito alla cassa integrazione e blocco dei licenziamenti economici individua le motivazioni di cessazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Nell’anno pandemico la riduzione della mobilità nel mercato del lavoro è stata generale: risoluzioni consensuali e dimissioni sono diminuite (-20%), più robusta è stata la riduzione dei licenziamenti (-51%) in particolare quella dei licenziamenti economici individuali (-69%) mentre il numero di licenziamenti disciplinari, non vietati dalla normativa anti Covid-19 è rimasto costante. Nel biennio pre Covid-19 il dato annuo di licenziamenti relativi ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato è rimasto intorno ai 640 mila, che scendono a 560 mila escludendo i licenziamenti disciplinari.
Nell’anno pandemico i licenziamenti sono stati limitati a 314 mila; al netto delle risoluzioni disciplinari si scende a 230mila, Il resto dei licenziamenti possono essere valutati, secondo l’Inps, in circa 330mila, per oltre due terzi riconducibili alle piccole imprese (fino a 15 dipendenti).
Il Rapporto precisa che si tratta di una stima statica dei licenziamenti non effettuati ope legis, che non autorizza a ritenere che essi diventino immediatamente effettivi rimosso il blocco, incide l’entità della ripresa e le attese delle aziende sul medio periodo, il possibile ulteriore ricorso alla cassa integrazione (sia Covid sia ordinaria), l’uso degli strumenti, legislativi e contrattuali, per la gestione degli esuberi, ecc.
Secondo le stime dell’Inps, due terzi dei licenziamenti si concentreranno nel settore dei servizi (al momento in regime di proroga del divieto di licenziamento, fino a ottobre, con facoltà di avvalersi di CIGD fino al 31 dicembre) mentre il terzo rimanente si dividerà tra industria manifatturiera e costruzioni.
Alfredo Magnifico