A conclusione di anno la CISL del Molise traccia il bilancio di ciò che è accaduto e indica, alla Politica, le posizioni da adottare. L’analisi che viene effettuata dal Barometro Regionale CISL del benessere – spiega il Coordinatore CISL Molise Antonio D’Alessandro – consente una valutazione dell’evoluzione del contesto socio-economico delle regioni italiane ed è composto da tre domini: Lavoro, Istruzione e Coesione sociale. L’Indicatore territoriale del Benessere/Disagio sociale, sia nella versione nazionale sia in quella regionale, non è solo un’elaborazione statistica per segnalare l’andamento congiunturale con un’analisi sistemica e trasparente dei dati, ma vuole essere anche uno strumento che valuta la capacità delle politiche di rispondere ai bisogni delle famiglie, alla loro domanda di sicurezza esistenziale, e offre una lettura pluridimensionale del benessere, attenta a monitorare gli andamenti della diseguaglianza e della sostenibilità.
Su tutto il territorio nazionale, la prolungata recessione degli anni passati, iniziata nel 2007, ha lasciato tracce durature, che peraltro risultano difficili da contrastare, vista la fase di nuova decelerazione che sta attraversando in questo momento l’economia italiana. La dipendenza delle regioni italiane dal ciclo dell’export non è uniforme, il Nordovest da solo realizza quasi il 40% delle esportazioni italiane, e il Nord-est un altro 33%. Il Centro e il Mezzogiorno realizzano quindi una quota modesta delle esportazioni. I divari territoriali Nord-Sud risultano particolarmente allarmanti per il dominio del Lavoro e della Coesione sociale. L’unico dominio che può essere descritto in termini più positivi è quello dell’Istruzione. Per quanto riguarda la nostra regione, fatto 100 il valore medio dell’indice di benessere Cisl, il Molise nel 2007 era a 95, nel 2014 a 83 e nel 2019 a 89. Tutte le regioni settentrionali superano ampiamente il valore 100. All’interno dell’indice sintetico del Benessere particolarmente sofferente in Molise è il dominio lavoro, che misura l’incidenza delle varie tipologie di lavoro precario sul lavoro a tempo pieno ed indeterminato. Tale indicatore è in discesa libera: infatti nel 2007 era 92 e nel 2019 è 87.
L’indicatore Coesione sociale misura il tasso di inclusione nel mercato del lavoro e nell’accesso al welfare. Tale indicatore segnala che soprattutto al Sud la situazione si mantiene sostanzialmente invariata rispetto ai minimi raggiunti in seguito alla seconda fase recessiva (quella che si colloca tra il 2012 e il 2013). Nel Mezzogiorno negli ultimi anni si è delineata in parte una rottura tra la dinamica economica che, seppur in rallentamento nel 2018, ha mostrato segni di ripresa dopo la crisi, e una dinamica sociale che, invece, tende ad escludere una quota crescente di cittadini dal mercato del lavoro e dal sistema tradizionale di welfare, ampliando le sacche di povertà e di disagio.
Dal Barometro Regionale CISL del benessere cerchiamo di verificare cosa viene fuori sulle differenti condizioni tra i giovani del Nord e del Sud dell’Italia, insieme al tasso di invecchiamento, che più racconta come sarà il futuro della nostra regione. Lo spread sociale, ossia la differente condizione socio-economica dei giovani del Nord e di quelli del Sud, è passato da 145 del 2014 a 147 del 2018, fatto 100 il valore del Nord. Il mercato del lavoro è l’indicatore più critico: in dieci anni (2008-2018) l’occupazione al Nord è salita del 2,3%, al Sud è diminuita del 4%. Un dato ancora più interessante riguarda la tipologia dei contratti di lavoro che al Nord vede un aumento dei contratti a tempo indeterminato dell’1,8% mentre a Sud i contratti a tempo indeterminato sono diminuiti del 7%, quindi lavoro sempre più precario che contribuisce alla sottooccupazione e alla povertà reddituale dei giovani del Sud. Ma a definire lo spread sociale concorrono altri indicatori. Da un questionario somministrato ai giovani tra i 14 e i 19 anni di scuole superiori del Sud rispetto a dove immaginano il loro futuro: è emerso che solo il 28,7% immagina di restare nella propria città, il 43,4% è convinto che troverà lavoro in altra regione italiana. Questo segnala il progressivo depauperamento del capitale umano al Sud. La consistente perdita dei giovani, anche laureati, interessa tutte le regioni del Mezzogiorno.
Quindi il Mezzogiorno e il Molise si troveranno inevitabilmente a vivere una crisi demografica profonda. Ci apprestiamo a vivere tutte le tragiche conseguenze e i costi sociali di un drastico e preoccupante ridimensionamento demografico, associato all’incontrovertibile invecchiamento della popolazione. Se non si riesce a invertire la rotta, è inevitabile l’aumento dell’età media della popolazione che modificherà nei prossimi anni la composizione della spesa delle famiglie, spostandola verso i servizi sanitari e di assistenza, a scapito dei consumi di beni più tradizionali. Ecco quindi che anche la struttura produttiva dovrà riadattarsi alle mutate condizioni di contesto.
La capacità di sviluppo del sistema dipenderà sempre più dall’aumento della capacità di offrire servizi di qualità a prezzi competitivi. Lo scopo di questa analisi – conclude Antonio D’Alessandro – è di invitare ancora una volta la Regione Molise a impegnarsi in un serio lavoro di programmazione pluriennale, insieme alle parti sociali, volto ad affrontare le gravi criticità strutturali che ci porteranno nei prossimi anni, da un lato ad una spesa pubblica insostenibile, dall’altro ad una desertificazione sociale; mentre con attente e specifiche politiche si devono valorizzare i punti di forza che pure ci sono e potrebbero costituire nell’immediato un elemento di equilibrio delle debolezze, per poi arrivare ad essere fattore di crescita e sviluppo.