Oggi più che mai possiamo affermare che i nostri soldi rappresentano soprattutto un mezzo e non un fine. Conservare i risparmi risulta sempre più difficile e rischioso. Anzi, per citare Warren Buffett, colui che dell’investimento ne ha fatto una fortuna, “siamo passati dai rendimenti senza rischi, al rischio senza rendimento”. In questo contesto affidare i risparmi ad una banca è divenuto un affare che richiede informazione e oculatezza. Dunque la vecchia consuetudine di rivolgersi allo sportello più comodo da raggiungere o a quello dove lavora il parente o l’amico può risultare”pericolosa” per la salvaguardia del nostro patrimonio.
Dal primo gennaio scorso, con l’entrata in vigore del bail-in, di derivazione europea, è venuta meno la sicurezza delle banche e quindi dei clienti, garantita dal regio decreto del 1936. Oggi stiamo assistendo ad una rivoluzione del sistema bancario che induce ognuno di noi a documentarsi sullo stato di salute della banca di riferimento prima di dare fiducia a chicchessia. Bisogna considerare, infatti, che in caso di dissesto di un istituto di credito non sarà più lo Stato a provvedere al salvataggio, bensì saranno chiamati ad assorbire le perdite, in primis gli azionisti, poi i titolari di obbligazioni subordinate e”senior” successivamente, infine i correntisti con depositi superiori ai centomila euro. Restano al sicuro i conti correnti di importo inferiore, le obbligazioni garantite, i fondi di investimento, le polizze assicurative e le cassette di sicurezza. Questo in sintesi il contenuto del bail-in. Ma c’è di più. Secondo il professore di “strategia e imprenditorialità” della Bocconi, Carnevale Maffè, le banche corrono anche il rischio di essere commissariate dalla BCE, con la conseguenza che esse reintegrerebbero le proprie insolvenze rifacendosi sui clienti. Come? Ad esempio aumentando le commissioni. Ad ogni modo lo stesso economista elenca dei parametri che ciascun risparmiatore non deve perdere di vista per far ricadere la propria opzione su una banca piuttosto che su altre. Uno di questi è il “Cet 1 ratio” (Commonwealth equity tier) che indica la soglia minima di affidabilità e deve aggirarsi tra l’8 e il 10 per cento variabile da banca a banca anche in base agli utili e all’andamento in borsa nel 2015. Gli altri indicatori sono rappresentati dal costo del conto corrente, dalle sofferenze, dalla liquidità e dalla redditività. Dati che al piccolo risparmiatore risultano il più delle volte non facilmente accessibili, perché riportati nei siti on line degli istituti bancari e nascosti tra le pieghe del bilancio. Quindi, da ora in poi, si spera nella massima trasparenza su questi indici, affinché tutti i clienti possano scegliere consapevolmente una banca cui affidare i propri averi.
Rossella Salvatorelli
Cara banca di te non mi fido più
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