Negli ultimi anni il modello tipicamente italiano del family business applicato all’impresa armatoriale è stato messo a dura prova dai macro-trend globali. Le parole d’ordine per resistere alla volatilità e restare competitivi sono: capitali ingenti, dimensione e management. Tra le varie rivoluzioni cui è chiamata l’industria armatoriale post-crisi (specie in Italia) vi è un profondo ripensamento del proprio rapporto con il sistema finanziario. Il settore marittimo, infatti, è sempre meno compatibile con strutture di capitale rigide e sbilanciate sul credito bancario ma richiede capitali pazienti e partner finanziari “educati” alle dinamiche settoriali, capaci di accompagnare l’impresa in tutte le fasi del ciclo, e non solo quando il mercato è in espansione.
È in questo contesto di grande trasformazione che ASSARMATORI ha assunto la responsabilità di istituire un tavolo permanente di confronto tra industria marittima e finanza domestica e internazionale, con l’obbiettivo di aprire un dialogo aperto ed esplorare nuove forme di collaborazione, trasformando quella che a tutti gli effetti è un’emergenza in opportunità. La definitiva composizione del tavolo di lavoro verrà annunciata nelle prossime settimane ma l’auspicio è quello di coinvolgere solo personalità di alto profilo, con idee concrete ed esperienze rilevanti nei rispettivi ambiti.
La crisi del cluster marittimo tricolore (oltre 100 navi riconducibili a interessi italiani dismesse negli ultimi anni) si è sommata per la prima volta nella storia alla crisi del sistema creditizio. La maggioranza degli armatori italiani si è trovata ad affrontare una o più ristrutturazioni finanziarie negli ultimi anni e in molti casi, soprattutto nell’ultimo biennio, si sono verificate disintermediazioni bancarie. Le cessioni dei crediti, in qualche situazione agevolate dall’imprenditore per sbloccare situazioni di stallo e gettare le basi per un rilancio dell’azienda, hanno in altre circostanze segnato l’ingresso di fondi hedge, interessati unicamente a un pronto realizzo degli attivi sottostanti.
“È arrivato il momento – dice Stefano Messina, Presidente di ASSARMATORI – di invertire la rotta ed esplorare fino in fondo le sinergie che possono derivare da una collaborazione, o per meglio dire da una reale integrazione, tra shipping e finanza, uscendo da una logica di sterile contrapposizione. Grazie a un’analisi preventiva costi-benefici è possibile immaginare un percorso di sviluppo, crescita e diversificazione che permetta agli armatori italiani di recuperare competitività eventualmente anche tramite la creazione di un Fondo di Debito Etico che supporti l’imprenditore nella continuità aziendale, e ai loro partner finanziari di trarre un giusto profitto”.
A livello internazionale, il trend di disintermediazione dello shipping da parte del sistema bancario è visibile da anni. Secondo Petrofin Research, nel 2017 lo stock di impieghi navali delle principali quaranta banche mondiali è sceso di oltre il 3% (da 355 a 345 miliardi dollari). In parallelo, sempre secondo la stessa fonte, è aumentato in modo esponenziale il ruolo dei fondi di investimento e delle leasing company, esposti per oltre 47 miliardi di dollari, ma con un trend tendenziale dato oltre i 50 miliardi di dollari. In Italia l’uscita delle banche, salvo qualche caso sporadico, è un fenomeno recente e oggi interessa non soltanto i casi più gravi, ma anche i crediti ristrutturati e cosiddetti unlikely-to-pay (“UTP”).
Solo nell’ultimo anno il deleverage a vario titolo delle banche italiane nei confronti di imprese armatoriali ha superato la soglia di 1 miliardo di dollari. E una cifra analoga è ormai in rotta certa verso la dismissione entro il 31 dicembre 2018. Cifre impressionanti, se si tiene conto delle dimensioni complessive dell’esposizione bancaria del settore armatoriale italiano, che a seconda del perimetro considerato oscilla tra 7 e 10 miliardi di dollari. Cifre che certificano la necessità impellente di individuare nuovi paradigmi, ottenibili soltanto da un’analisi onesta e puntuale dei trend in atto e portando esempi concreti, magari malnoti in Italia, e tuttavia potenzialmente applicabili.
Ad esempio, i casi di “diversificazione di ritorno”, ovvero l’impiego di capitali privati provenienti dagli utili del comparto armatoriale (in particolare greco), confluiti in soggetti interessati a reinvestire sempre nello stesso settore, ma diversificando in termini di geografie e sub-settori. Oppure, restando alla stretta attualità italiana, la possibilità di gestire i crediti deteriorati ed UTP delle banche italiane non su base opportunistica, bensì per il tramite di iniziative sistemiche e poli aggregativi che siano in grado di realizzare un concreto allineamento di interessi tra tutti gli stakeholders (banche, investitori, armatori, comunità locali etc.), preservando la rilevanza della flotta mercantile italiana nel mondo. Ma anche, in chiave prospettiva, tenendo un occhio vigile sulle opportunità offerte dal mercato dei capitali, una volta che la crisi sarà finalmente alle spalle e la fisiologia patrimoniale e finanziaria del settore finalmente recuperata.
ASSARMATORI lancia un laboratorio permanente per il confronto tra shipping e finanza
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